Sono in contrasto con il diritto europeo le norme del Codice dei contratti pubblici che escludono a priori gli enti senza scopo di lucro dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi di ingegneria e di architettura, nonostante tali enti siano abilitati in forza del diritto nazionale ad offrire i servizi oggetto dell’appalto.
La Corte di giustizia europea, con la sentenza 11/06/2020, causa C-219/19, si è pronunciata nell’ambito di una controversia tra una Fondazione di diritto privato senza scopo di lucro, da un lato, e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) dall’altro, in merito alla decisione con cui quest’ultima aveva respinto la domanda di iscrizione della Fondazione nel casellario nazionale delle società di ingegneria e dei professionisti abilitati a prestare servizi di architettura e di ingegneria. Secondo l’ANAC, la Fondazione, non rientrando in nessuna delle categorie di operatori economici che ai sensi dell’art. 46, comma 1, del D. Leg.vo 50/2016 sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, non aveva diritto all’iscrizione. La Fondazione proponeva ricorso davanti al TAR Lazio che rimetteva la questione alla Corte di giustizia europea.
Nel risolvere la questione la Corte UE ha richiamato alcune precedenti pronunce in cui aveva già affermato che gli Stati membri hanno il potere di autorizzare o non autorizzare talune categorie di operatori economici a fornire certi tipi di prestazioni e che essi possono, in particolare, autorizzare o meno enti che non perseguono finalità di lucro, e il cui oggetto sia principalmente volto alla didattica e alla ricerca, ad operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in questione sia compatibile, o meno, con i loro fini istituzionali e statutari.
Tuttavia, una volta che - e nei limiti in cui - siffatti enti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, il diritto nazionale non può vietare a questi ultimi di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici aventi ad oggetto la prestazione degli stessi servizi.
Tali orientamenti sono stati confermati con l’entrata in vigore della Direttiva 2014/24/UE che indica espressamente (considerando 14) che la nozione di operatore economico deve essere interpretata “in senso ampio”, in modo da includere qualunque persona e/o ente attivo sul mercato, “a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare”. Parimenti, l’art. 19, paragrafo 1, e l’art. 80, paragrafo 2, della medesima Direttiva prevedono espressamente che la candidatura di un operatore economico non può essere respinta soltanto per il fatto che, secondo il diritto nazionale, esso avrebbe dovuto essere una persona fisica o una persona giuridica.
Al riguardo non rileva l’interpretazione secondo la quale la definizione restrittiva della nozione di operatore economico di cui all’art. 46 del D. Leg.vo 50/2016 nel contesto di servizi connessi all’architettura e all’ingegneria sarebbe giustificata dall’elevata professionalità richiesta per garantire la qualità di tali servizi nonché da un’asserita presunzione secondo cui i soggetti che erogano tali servizi in via continuativa, a titolo professionale e remunerato, siano maggiormente affidabili per la continuità della pratica e dell’aggiornamento professionale. Tale presunzione a giudizio della Corte non può essere accolta nel diritto dell’Unione, essendo quest’ultima incompatibile con la citata giurisprudenza dalla quale deriva che, qualora un ente sia abilitato in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura nello Stato membro interessato, esso non può vedersi negato il diritto di partecipare alla gara.
Ne deriva la legittimazione della Fondazione a partecipare alle gare pubbliche per l'affidamento di servizi di ingegneria e architettura, non potendo la normativa nazionale escludere a priori tali soggetti sulla base della loro forma giuridica.