L’oleandro elettrico e l’architettura vegetale

L’oleandro elettrico e l’architettura vegetale

È toccato a un oleandro diventare il primo albero che produce energia elettrica. Messo a punto dal Centro di Micro-Bio Robotica dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Pontedera, il nuovo ibrido ha foglie artificiali che oscillando al vento interagiscono con quelle naturali, e con un processo di elettrificazione a contatto trasmettono la carica elettrica al resto della pianta. Basta collegare una specie di presa al tronco e il gioco è fatto. Da qui a immaginare foreste con prese che spuntano ovunque e miriadi di smartphone attaccati a succhiare energia anche dagli alberi è un attimo, come sognare di illuminare la propria casa con l’oleandro sul terrazzo o usare i parchi per rifornire di energia elettrica le città.

Da qualche decennio si è sviluppata una nuova attenzione nei confronti del mondo vegetale, sono fioriti, è il caso di dirlo, studi sulla sensibilità, sull’intelligenza, sulla struttura sociale delle piante che da una parte iniziano a dare risultati pratici e dall’altra pongono interrogativi nuovi sulla natura stessa della coscienza, tradizionalmente legata al cervello, organo assente negli organismi vegetali, che però dimostrano di possederne una, più simile alla coscienza di uno sciame, ma a tutti gli effetti presente.

 Complice anche l’urgenza creata dalla dimensione non più sostenibile dell’inquinamento dell’aria, ci si rivolge a chi quell’aria l’ha creata nel corso di milioni di anni. Prolificano pratiche comportamentali che partono dall’interazione col mondo vegetale come il Forest bathing, una sorta di riscoperta del rapporto con le foreste, o il Bioenergetic landscape, tecnica con cui si misurano le influenze bioenergetiche degli alberi, fino al ritorno degli orti con conseguente sviluppo di ortoterapie e affini. Esistono studi che individuano nella presenza di piante un miglioramento generale del benessere e che trovano applicazioni pratiche negli uffici e anche nelle strutture sanitarie, dove riescono a diminuire la degenza con conseguente risparmio economico.

Nelle grandi aree urbane alcune amministrazioni si sono rivolte alle piante per controllare non solo la diminuzione delle polveri sottili, ma anche per abbattere l’effetto isola di calore con conseguente spreco di energia elettrica causato da raffrescamento e riscaldamento degli edifici. Una delle soluzioni più efficaci, durature ed economiche è aumentare la presenza di piante, cosa che in aree densamente costruite si può ottenere con l’uso di tecnologie adeguate e ormai sperimentate da decenni. Lo chiamano Verde Tecnico e sono tutte quelle strategie innovative che permettono lo sviluppo di piante fuori suolo, più popolarmente note come giardini pensili, verde verticale, biopiscine.

L’ibridazione fra piante e architettura ha maestri nell’architetto argentino Emilio Ambasz e nell’artista austriaco Friedensreich Hundertwasser e si è sviluppata andando oltre il verde tecnico e meritando la definizione di Vegetecture, un altro modo di progettare dove la vegetazione è usata al pari degli altri materiali da costruzione e ne costituisce anzi la parte preponderante. Studi di progettazione olandesi e soprattutto sudcoreani sono all’avanguardia nella realizzazione di questa nuova architettura. A portare le piante all’interno delle abitazioni ibridandole con gli oggetti di uso quotidiano ci pensa invece una tendenza del design contemporaneo sparsa un po’ ovunque nel mondo, progetti e prototipi nati da giovani designer che propongono oggetti da innaffiare e curare con costanza e amore.
 
Fra questi sentieri nei boschi, ce n’è uno che viene da molto lontano e che guarda altrettanto lontano. Oltre l’ibridazione fra piante e architettura, c’è l’architettura di piante. Esistono alcune specie vegetali che si prestano particolarmente a essere utilizzate per realizzare costruzioni che in fatto di sostenibilità sono delle vere fuoriclasse. Il gruppo comprende il bambù, la canna palustre, il salice e la paglia, e tutte hanno come presupposto comune una materia che è la regina incontrastata di tutti i materiali ecologici, la terra cruda.
 
Si tratta per la maggior parte di riscoperte di tecniche antiche che sono andate evolvendosi negli ultimi decenni attraverso una diffusione incentrata sulla trasmissione diretta dell’esperienza. A parte il bambù, che è una novità solo per l’Occidente, le altre si apprendono attraverso laboratori, workshop, incontri operativi dove si lavora direttamente sul campo, sporcandosi letteralmente le mani. L’aspetto dell’autocostruzione è centrale e rientra in una filosofia di vita che ha nell’autodeterminazione e nel pensiero libertario le sue radici. Sul livello tecnico invece è interessante notare come negli ultimi anni queste tecniche siano studiate e sviluppate dagli ingegneri più che dagli architetti. Questo significa che le loro proprietà fisiche sono talmente interessanti che vanno comunque oltre la filosofia che le ha fatte tornare alla ribalta.

In bambù si costruiscono case, ponti, mobili, laminati, pavimenti, materiali compositi. Si tratta di un materiale che trova applicazioni anche in medicina, oltre ad essere un ottimo alimento. In Occidente si conosce poco, mentre è molto usato in Asia, America latina e Africa. Per un lungo periodo l’utilizzo diffuso di materiali moderni ha significato per il bambù la perdita del ruolo che aveva, gradualmente sostituito da calcestruzzo, acciaio e legno. Oggi è in fase di rivalutazione da parte di architetti e ingegneri di tutto il mondo, da Frei Otto a Buckminster Fuller, da Arata Isozaki a Kengo Kuma e Renzo Piano. In Italia, un contributo fondamentale alla diffusione della costruzione in bambù viene dall’architetto italo-colombiano Mauricio Cardenas, che con i suoi progetti e la sua attività culturale rappresenta un punto di riferimento. Anche la coltivazione sta prendendo piede grazie all’azione pionieristica di diverse strutture come Bambuseto in Versilia. Rispetto alle altre colture il bambù è una pianta molto veloce a crescere e può essere utilizzato già dopo tre anni.
 
La canna comune, il cui nome scientifico è Arundo donax, è una pianta erbacea perenne presente in tutto il bacino del Mediterraneo e in tutta la penisola italiana, è impiegata come materiale in diversi campi, dall’edilizia rurale all’artigianato. Nell’architettura contemporanea ha avuto un forte rilancio con l’opera del gruppo spagnolo CanyaViva che ha elaborato, standardizzato e testato in collaborazione con l’Universidad Politecnica de Catalunya, un sistema di costruzione di archi strutturali. Ideato dall’architetto inglese Jonathan Cory-Wright, permette la realizzazione di una gamma di archi in cui leggerezza e natura si concretizzano in strutture che fondono la semplicità del materiale alla creatività delle forme fluide e organiche. Le architetture in canna comune hanno infinite possibilità formali e funzionali e si abbinano a differenti materiali, dai rivestimenti di terra e paglia o calce e canapa a strutture in acciaio o legno.

Le prime abitazioni in balle di paglia sono una delle conseguenze dell’invenzione della macchina imballatrice alla fine dell’Ottocento. In Nebraska, negli Stati Uniti d’America, i coloni le utilizzarono come grandi mattoni e scoprirono che le abitazioni erano non solo resistenti, ma molto confortevoli. Numerose delle case dei coloni del Nebraska sono ancora esistenti, in Europa la più antica casa di paglia si trova a Montargis, in Francia, è stata realizzata nel 1921 ed è tuttora abitata. L’ingegner Feuillette, progettista e proprietario dell’abitazione, utilizzò una struttura in legno e sono proprio le tecniche miste, che si avvalgono di strutture portanti lignee e tamponamento in balle di paglia, quelle attualmente più diffuse e possono essere impiegate anche in Italia. Dopo gli ultimi eventi sismici sono diventate di grande interesse, per la loro leggerezza e flessibilità sono in grado di assorbire il carico sismico che è proporzionale al peso. La paglia ha inoltre un elevatissimo potere isolante termico, fonoassorbente ed è un materiale traspirante quando finita con intonaci naturali come quelli in terra cruda o calce.

A partire dagli anni ’70, il gruppo Sanfte Strukturen, un gruppo di architetti e artisti di Stoccarda, guidato dall’architetto Marcel Kalberer, cominciò a indagare tecniche di costruzione alternative come strutture in terra cruda, fieno, canna palustre, acqua e ghiaccio, rifiuti, tutte tecniche legate a processi ludico-architettonici di volta in volta denominati “azioni architettoniche”, “prototipi architettonici”, “aree-gioco architettoniche” o anche “aree-gioco per gli adulti”. La finalità era restituire al costruire il significato di realizzazione individuale e al tempo stesso incentivare comportamenti di solidarietà. Agli inizi degli anni ’80 Sanfte Strukturen cominciò a realizzare strutture spaziali utilizzando i virgulti di salice appena tagliati e divenne subito chiaro come questa tecnica si prestasse alle esigenze creative dei non addetti ai lavori e dei giovani, in maniera accessibile, facile e giocosa. Kalberer concepisce le architetture di salice come la possibilità per qualunque individuo di qualsiasi età e strato sociale, di agire attivamente e all’aperto nonché come un piccolo passo utopico in direzione della “appropriazione e conformazione creativa del proprio ambiente” e verso processi lavorativi sostenibili e comunitari.
 
L’architettura vegetale è oggi una risposta concreta che va nella direzione non solo di una sostenibilità reale, ma soprattutto dell’autodeterminazione del proprio spazio di vita. In una prospettiva pessimista o più semplicemente realista, visti i ripetuti appelli della comunità scientifica, imparare a costruire con le proprie mani e con i materiali disponibili in natura può rivelarsi un’opportunità di sopravvivenza concreta. Gli studi di ultima generazione ci restituiscono un’immagine delle piante come esseri viventi dalla elevata socialità e profonda coscienza dell’ambiente che le circonda, alcuni cominciano a vederle come un modello da seguire. Oggi che la domotica continua a riproporci varianti della casa intelligente immaginata negli anni Sessanta e che evidentemente così intelligente non è mai stata, aumentare la presenza di piante nei nostri ambienti può significare andare oltre la tecnologia e immaginare case organiche vive e pensanti in cui corpo e mente possano svilupparsi al meglio.

fonte di  Maurizio Corrado https://www.doppiozero.com

Architettura in bambù

Architettura in bambù

6 nomi che stanno portando l'architettura in bambù a un nuovo livello

Lo chiamano "acciaio verde" ed è una vera e propria rivoluzione nel mondo dell'architettura sostenibile, che arriva da terre lontane ma sta riscuotendo un grande successo anche in Europa

Bambù per case ecosostenibili: gli edifici in bambù non sono più associati all’idea di architettura povera, ma rappresentano oggi la frontiera dell’architettura green elegante e innovativa.

Se prima infatti questa pianta era utilizzata come materiale da costruzione prevalentemente in Asia e America Latina, oggi la troviamo sempre più frequentemente anche nei mercati Europei e Nord Americani, e molti giovani architetti stanno sperimentando tecniche per renderla sempre più contemporanea, per sdoganare i pregiudizi che si avevano su di essa e sensibilizzare anche l’occidente al suo impiego creativo.

La sua implicazione non è solo nella sfera del design. Il bambù è infatti una pianta davvero strepitosa. Graminacea perenne, sempreverde, dalla crescita spontanea e rapida, la pianta di bambù non ha bisogno di essere curata e si propaga autonomamente, rigenerandosi all'infinito, caratteristica che la rende un materiale estremamente ecologico.

Oltre ad essere universalmente conosciuta come il “il cibo dei panda” le sue caratteristiche e le storie su di essa sono davvero incredibili. Non solo i panda lo apprezzano, nella cucina orientale è molto usato come alimento, per il suo gusto delicato e la ricchezza di vitamine. La resistenza a tensione delle sue fibre lo rende perfetto in edilizia come materiale strutturale, ma in Cina da più di mille anni è impiegato nella realizzazione di gomene e cime di navi, funi dei ponti sospesi; la sua facilità di lavorazione e versatilità (merito delle fibre di bambù molto lunghe) per la produzione di carta, tessuti, parquet; i suoi benefici sono anche nelle foglie, che assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno come poche altre specie.

Tra gli aneddoti sul bambù più interessanti si racconta che sia la prima specie vegetale rinata sui suoli di Hiroshima e Nagasaki dopo il bombardamento atomico del 1945; che sia stato utilizzato da Edison per gli esperimenti che lo condussero allo sviluppo della prima lampadina e che sia finito nel Guinnes dei Primati per aver stabilito il record di pianta che è cresciuta più velocemente in tutto il mondo (70 centimetri in un solo giorno).

Soprattutto negli ultimi anni abbiamo visto sorgere strutture in bambù dal risultato estetico molto diversificato, testimonianza della flessibilità della pianta e della sua rivalutazione, nel campo delle arti creative moderne, come materiale tradizionale e contemporaneo allo stesso tempo, tanto da essergli dedicato un evento, la International Bamboo Architecture Biennale che ha esordito sotto la cura di Ge Qiantao e dell’architetto George Kunihiro nel villaggio di village of Baoxi in Cina nel 2016.

La prima Biennale Internazionale dell'Architettura in Bambù ha presentato 18 costruizioni, realizzate da 12 architetti di fama internazionale tra i quali Kengo Kuma, Vo Trong Nghia, Anna Heringer, Li Xiaodong Atelier and Simon Velez, che sono state costruite in una scenario agricolo.

Partendo da alcuni di quelli che hanno partecipato all'evento e ampliando la ricerca, abbiamo selezionato 6 architetti che, per caratteristiche differenti, si possono definire veri e propri maestri del bambù.

Simon Velez è considerato un esponente autorevole dell’architettura vegetale e ne fa una vera e propria filosofia di vita, associando la costruzione in cemento alla caverna, mentre l’architettura il legno alla vita aerea, sinonimo di liberazione dell’uomo dal suo stato di primitivo rude e carnivoro ed elevazione a essere sano, equilibrato.

Considerato il leader del movimento architettonico volgare, una scuola di design fortemente ancorata al contesto geografico e che utilizza esclusivamente materiali provenienti dal territorio a cui è legata è l'autore di alcune tra le prime realizzazioni contemporanee in bambù d'Europa.

Tra queste il padiglione Zeri all'Expo 2000 di Hannover e la più recente presenza alla 15. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia con l’allestimento Bamboo. L’installazione per la Biennale Reporting from the front a cura del cileno Alejandro Aravena ha visto riflettere l'architetto colombiano sulle straordinarie qualità del bambù come materiale architettonico e strutturale che Vélez definisce “acciaio vegetale” nel tentativo di esaltarlo ed innovarlo ad esempio combinandolo con altri materiali più moderni.

Vo Trong Nghia

Il bambù è veramente il materiale preferito di Vo Trong Nghia, architetto vietnamita fondatore di uno studio che oggi conta più di 40 persone e si contraddistingue per una progettazione che conserva l’espressività della tradizione asiatica, impiegando materiali naturali ed economici per creare un’architettura green contemporanea. Autore del padiglione vietnamita dell’Expo 2015, e già presente con un’installazione alla 15.Biennale Architettura Venezia, anche quest’anno è stato invitato come esponente del Vietnam alla16. Biennale di Architettura di Venezia in occasione della quale ha interpretato il tema Freespace con un padiglione intitolato Bamboo Stalactite, una serie di volte, realizzate incurvando e intrecciando steli di bambù intorno ad una sequenza di stalattiti lignee che corrono da terra alla copertura.
L’ intreccio del materiale crea uno spazio denso, protettivo e ombreggiato ma allo stesso tempo trasparente, aperto, perfetto per contemplare le acque dell’Arsenale di Venezia e riposare sulle poltrone pouf chaise longue. Un’architettura iconica interamente realizzata in bambù, che dimostra le potenzialità estetiche e tecniche di questo materiale.

Mauricio Cardenas Laverde

Il lavoro di Mauricio Cardenas Laverde, architetto colombiano con studio a Milano, si concentra sullo studio e la ricerca di possibili impieghi del bambù nell’edilizia così come nell’architettura d’interni. Un elemento strutturale della sua terra che lui sa adattare anche al contesto europeo., in sostituzione al legno lamellare, ma anche per rivestimenti interni, arredi e design che parlino un linguaggio contemporaneo.

In Cina, ha progettato una casa ecocostenibile in bambù a Baoxi Longquan, in Cina, con una struttura che esplora nuovi modi di costruire usando il bambù: un’architettura a secco, con connessioni in alluminio leggere e facili da assemblare, che combina quello che viene definito “acciaio vegetale” con l’acciaio vero e proprio per creare un sistema di costruzione industrializzato e applica la proporzione aurea per ottenere la standardizzazione dei pezzi, e un impatto visivo armonico.

Marco Lavit

Tra gli autori di sperimentazioni contemporanee, abbiamo scelto un giovane talento dell’architettura italiana, Marco Lavit nominato talento emergente ai Rising Talent Awards 2018, e autore del recentissimo Senato Roof, il progetto di Senato Hotel Milano che ogni anno coinvolge un designer e un produttore di mobili outdoor nel makeover totale dei 100 metri quadri della terrazza. Nella “Milano da bere”, il tetto del Senato Hotel di Lavit cita Le Corbusier con il progetto Modulor, una griglia progettata su modulo regolare con struttura in bambù con cui imbriglia le coordinate spaziali per lasciare al sole, alle nuvole e alle ombre il compito di rompere le regole.
Un gioco di contrasti, prospettive, simmetrie e irregolarità già sperimentato a Port-Louis, Mauritius, nel progetto di una facciata di una facciata in bambù che trasforma un elemento naturale in elemento ordinatore e si risolve in un prospetto che è come un "moucharabieh" per sensibilizzare all’utilizzo del bambù come materiale architettonico.

Kengo Kuma

Se si parla di architettura e bambù non si può non citare il giapponese Kengo Kuma, uno dei massimi esponenti di un’architettura che ricerca la sintesi perfetta fra edificio e paesaggio, fra intervento dell'uomo e gioco della natura. Una delle sue opere più poetiche è la Great Bamboo Wall House, una casa costruita a Pechino, a ridosso della Grande Muraglia, dalla quale l’architetto prende ispirazione. A differenza della Muraglia il muro non è però un elemento che divide ma che unisce popoli e culture, mescolando insieme l’architettura tradizionale giapponese con elementi propri della modernità, come gli arredi minimal chic che caratterizzano l’interno.

Il materiale della tradizione costruttiva locale riveste la struttura, esternamente e internamente, con cortine di canne a distanza variabile l'una dall'altra, che creano una pelle non uniforme attraverso la quale lo spazio passa dall’essere più chiuso e protetto a far filtrare completamente al paesaggio, che si mescola con l’architettura.

Chiangmai Life Architects

Chiangmai Life Architects and Construction è una società con sede in Tailandia specializzata nella progettazione e costruzione di architetture in bambù e terra che combinano un moderno design organico, l'ingegneria del 21 ° secolo e i materiali naturali. Una delle loro opere più imponenti è il Bamboo Sports Hall per la Panyaden International School del 2017, un ecologico campo sportivo in bambù di 782 metri quadrati che riprende la forma del fiore di loto, simbolo della Tailandia e degli insegnamenti buddisti.

La struttura completata ospita un campo da basket e futsal e può ospitare anche campi da pallavolo e da badminton, con gli impianti di stoccaggio posizionati dietro un palco che può essere sollevato automaticamente, e gli spalti per il pubblico. Oltre alla caratteristica di essere un edificio a basso impatto ambientale, grazie alla ventilazione naturale e l’isolamento che assicurano un clima interno ideale per tutto l’anno, quello che rende l’architettura in bambù innovativa è il design strutturale per la portata dell’intervento.

Tralicci di bambù prefabbricati di nuova concezione con una campata di oltre 17 metri senza rinforzi o connessioni in acciaio formano capriate che sono state pre-montate sul posto e sollevate in posizione con l'aiuto di una gru. Un incontro perfetto tra progettazione, tecnologia e tradizione artigianale, per un’ architettura che rappresenta il futuro della costruzione sostenibile.