Decoro architettonico
Secondo la legge di riforma del condominio N. 220/2012, le facciate condominiali sono tra le parti dell'edificio necessarie e di uso comune.
Ciascun condomino, ai sensi dell'art. 1102 c.c., può "servirsi della cosa comune" a patto però che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

Quando parliamo di "facciata" ci riferiamo a quel decoro architettonico del condominio che impersona l'estetica del fabbricato. La facciata per definizione è realizzata dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli infondono una determinata, armonica fisionomia e una specifica identità alla cui salvaguardia è legittimato anche il singolo condomino ai sensi dell'art. 1120 c.c.
La facciata, intesa come la parte più esterna dell'edificio è ora espressamente qualificata come parte comune la cui manutenzione e conservazione è anche regolata dalla volontà dei condomini attraverso il regolamento condominiale il quale può imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica e all'aspetto generale dell'edificio.
E' possibile che il singolo condomino non possa installare tubazioni sulle parti comuni per la presenza nel regolamento di condominio di una clausola contrattuale che abbia ad oggetto la conservazione dell' originario aspetto architettonico dell'edificio.
Tuttavia, poiché la facciata rappresenta la parte esterna dell'edificio le controversie sulla manutenzione delle sue singole parti sono state svariate negli anni.
La corte Cassazione civile sez. VI, 24/09/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 24/09/2020), n.20003 ribadisce e conferma che la facciata di prospetto di un edificio rientra nella categoria dei muri maestri, ed, al pari di questi, costituisce una delle strutture essenziali ai fini dell'esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicché, nell'ipotesi di condominialità del fabbricato, ai sensi dell'art. 1117 c.c., n. 1, ricade necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso e resta destinata indifferenziatamente al servizio di tutte tali porzioni, con la conseguenza che le spese della sua manutenzione devono essere sostenute dai relativi titolari in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà (Cass. Sez. 2, 30/01/1998, n. 945).
A tali spese partecipano anche i proprietari delle autorimesse e dei box interrati, se fanno parte integrante dell'edificio e non si trovino in corpi di fabbrica separati.
E i balconi, in particolare quelli "aggettanti", cioè quelli che sporgono dalla facciata dell'edificio costituendo un prolungamento dell'appartamento dal quale protendono, devono essere considerati di proprietà comune?
Il codice civile non regolando l'argomento, nello specifico, lascia alla giurisprudenza il compito di chiarire la questione, ancora oggi oggetto di valutazione con discussione aperta.
Tuttavia, già nel 2012 si assisteva ad un orientamento giurisprudenziale secondo il quale "I balconi aggettanti costituiscono solo un prolungamento dell'appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell'edificio, come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell'edificio, non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani e ad essi non può applicarsi il disposto dell'art. 1125 c.c. I balconi aggettanti, pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono". (Cass.Civ. Sez. II, 27.07.2012, sentenza N. 13509)
Approfondendo l'argomento, la giurisprudenza, negli anni, ha chiarito che i balconi aggettanti. fanno parte della facciata solo per la parte frontale e per quella inferiore, i così detti sottobalconi, esclusivamente nel caso in cui gli elementi decorativi incidono sul decoro dell'edificio.
Sembrerebbe dunque che sono solamente gli elementi decorativi a dover essere considerati parti comuni, non anche la parte strutturale di parte frontale ed inferiore (cfr. Cass. 30 luglio 2004 n. 14576; Cass. Civ. Sez II del 19.05.2015, sentenza n. 10 209; Cass. Civ, Sez.II, 29.10.2018 ordinanza n. 27413).
A tal proposito sembra doveroso riportare una sentenza della Cassazione che pur se apparentemente esprime un concetto differente, nei fatti ci riporta sempre al concetto di decoro architettonico quale bene comune : "Mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, né essendo destinati all'uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l'edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole.
Ne consegue che l'azione di un condomino diretta alla demolizione, al ripristino, o comunque al mutamento dello stato di fatto di tali elementi deve essere proposta nei confronti di tutti i partecipanti del condominio, quali litisconsorti necessari". (Cass. Civ. Sez. II del 14.12.2017, sentenza n. 30071).
Dunque quando parliamo di facciata come parte estetica di un edificio parliamo sicuramente di decoro architettonico.
Una definizione ben precisa del concetto di decoro è stata fornita proprio dalla Suprema Corte di Cassazione con una direttiva datata ma sempre attuale: risulta dall'insieme delle linee e dei motivi architettonici e ornamentali che costituiscono le note uniformi dominanti ed imprimono alle varie parti dell'edificio stesso nel suo insieme, dal punto di vista estetico, una determinata fisionomia, unitaria ed armonica, e dal punto di vista architettonico una certa dignità più o meno pregiata e più o meno apprezzabile.
Esso è opera particolare di colui che ha costruito l'edificio e di colui che ha redatto il progetto, ma una volta ultimata la costruzione costituisce un bene cui sono direttamente interessati tutti i condomini e che concorre a determinare il valore sia delle proprietà individuali che di quella collettiva sulle parti comuni. (Cass. n. 1472/1965).
Questo concetto di estetica, secondo la giurisprudenza, non è riferibile solo agli immobili di particolare pregio storico-artistico o con particolari decorazioni presenti sul prospetto, ma anche agli immobili più semplici, ai "condomini normali"; per cui si può parlare di decoro architettonico, anche laddove "possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia" (Cass. n. 8830/2008).
Tuttavia, la Giurisprudenza in materia di "decoro architettonico" è sicuramente prolifera ed ha affrontato diversi aspetti della questione partendo dalla possibilità di aprire una veduta, posizionare targhe e insegne in facciata, appoggiarvi una canna fumaria, apporre un impianto per l'aria condizionata o le tende per schermare il sole, tenendo conto della linea estetica, della fisionomia della costruzione e dell'ambiente in cui la facciata stessa si trova e soprattutto non arrecando pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza dell'edificio ovvero non alterando il decoro architettonico ad esempio realizzando una nuova opera all'interno dell'insieme - armonico aspetto dello stabile.
Per la giurisprudenza amministrativa, occorre il consenso del condominio quando si vuole realizzare o sanare opere che modifichino la facciata dell'edificio e ciò anche quando le innovazioni sulle parti comuni potrebbero non avere alcuna rilevanza estetica (Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 2012, n. 3772; Sez. IV, 10 marzo 2011, n. 1566).
Tuttavia, con la sentenza n. 10583/2019 la Suprema Corte ha ribadito che una modifica della facciata condominiale non può essere considerata pregiudizievole per il decoro architettonico laddove l'estetica dell'edificio risulti già menomata da precedenti interventi.
Rifacimento facciata, paga il conduttore o il proprietario?
Ed infatti, per valutare la lesione del decoro architettonico della facciata condominiale, occorre fare riferimento allo stato del fabbricato al momento in cui si è verificato il comportamento che si assume abbia leso il decoro architettonico.
Tale pronuncia appare coerente con il tradizionale insegnamento della Suprema Corte per la quale il decoro architettonico consiste nell'estetica del fabbricato, data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità.