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Palazzo Argonauta diventa “green”

Palazzo Argonauta

Un profondo restyling voluto dal Gruppo Valle Giulia, proprietaria dell’edificio ha dato un nuovo look a uno dei palazzi più grandi di Roma. Il maquillage è il frutto del lavoro sinergico tra lo studio Agenzia di Architettura e Cool Projects, società di ingegneria specializzata in Project Management e Building Automation

Uno dei palazzi più grandi di Roma, il secondo per dimensioni dopo la Farnesina si è rifatto il maquillage esterno e interno, in chiave “green” come espressamente voluto dal Gruppo Valle Giulia, proprietaria dell’edificio.
Palazzo Argonauta (70.000 m² e 275.000 m³), nato negli anni ’70 su progetto dell’Ing. Renato Armellini, prende il nome dalla strada verso cui affaccia il suo lato Sud e si trova in posizione strategica a metà strada tra due simboli della storia e della cultura romana, la Piramide Cestia e la Basilica di San Paolo, a pochi chilometri dal centro e vicino alla direttiva  per l’aeroporto di Fiumicino e alle stazioni ferroviaria e di metropolitana. Nel quartiere Ostiense che di giorno è ricco di attività e di uffici e di sera diventa uno dei centri più frequentati della movida romana.
La ristrutturazione - firmata dallo studio Agenzia di Architettura (per il restyling architetturale e la direzione lavori) in sinergia con la società di ingegneria Cool Projects, specializzata in Project Management e Building Automation (per la parte impiantistica, il Project Management, la sicurezza, il coordinamento di cantiere) e in collaborazione con i progettisti di Genera (per gli aspetti del fotovoltaico) - fa diventare Palazzo Argonauta uno tra i principali edifici energeticamente efficienti d'Europa e il primo dell'area di Roma Capitale grazie a un impianto di pannelli solari su facciata di notevoli dimensioni.
Il lato sud del palazzo, infatti, ospita 657 moduli di silicio policristallino (100x150 cm) per uno sviluppo complessivo di quasi 1.000 mq, esteso su un fronte di circa 110 metri, per un’altezza di poco inferiore a 40 metri in grado di generare quasi 150 kWp con tutta la sua rete di cablaggio. La sfida maggiore per architetti e ingegneri è stata quella di rendere questo impianto quasi invisibile, giocando sulla mistificazione della realtà, ovvero trasmettere l’illusione che i pannelli fotovoltaici siano le finestre, mentre gli elementi brise-soleil siano percepiti, al contrario, come elementi di marcapiano. Un edificio letto al negativo: i vuoti al posto dei pieni e viceversa. Ogni dettaglio tecnico e architettonico nella composizione di queste facciate è stato pensato in questa direzione.
Si è voluto andare oltre realizzando anche sulla facciata ovest, quella che guarda via Ostiense, un analogo sistema realizzato con pannelli di vetro smaltato blu dello stesso colore e dimensioni di quelli fotovoltaici e ancorato con gli stessi supporti. Questo perché su via degli Argonauti sta sorgendo la nuova sede dell’Università Roma Tre, su progetto di Mario Cucinella, che (presumibilmente) oscurerà parte della facciata sud del palazzo. A conclusione del nuovo ateneo si opererà uno scambio dei pannelli “al buio” con quelli posizionati sul fronte ovest di via Ostiense senza compromettere le caratteristiche architettoniche né di produzione di energia rinnovabile. Questa soluzione ha influenzato lo sviluppo del progetto su tutti i prospetti, nei quali i pannelli di vetro smaltato blu sono diventati una delle caratteristiche salienti. A questo impianto è stata aggiunta una struttura fotovoltaica distribuita su una superficie di 2.176,70 mq, per una produzione annua di 484.472 kWh. I due impianti insieme possono generare 622.092 kWh annui, interamente a servizio del palazzo. Il risparmio in termini di CO2 è stimato in circa 170 tonnellate l’anno. Palazzo Argonauta dispone, in tal modo, del più grande impianto fotovoltaico su facciata nell’area metropolitana di Roma e il maggiore in Italia. Si consideri che attualmente l’impianto in facciata più ampio al mondo si trova a Copenaghen e produce circa 300 MW annui.

Efficientamento energetico
L'impegno maggiore per gli ingegneri di Cool Projects è stato dedicato all'integrazione tra nuovo progetto architettonico e gli impianti esistenti, i quali sono stati modificati, adattati, in parte sostituiti con nuove installazioni. L'obiettivo principale di tali interventi è stato quello di ridurre i consumi energetici globali con l'applicazione di nuove tecnologie in sostituzione di quelle presenti ormai obsolete. Al contempo sono state migliorate le condizioni di comfort ambientale attraverso l'introduzione di sistemi domotici tecnologicamente innovativi che, al completamento dell'installazione, saranno capaci di gestire in modo integrato la totalità degli impianti a servizio dell'immobile, monitorando in modo continuo l'utilizzo e lo sfruttamento delle risorse energetiche.
Tra gli interventi principali eseguiti o in via di realizzazione c'è la sostituzione delle 6 UTA a servizio del palazzo con nuove unità di migliore classe energetica. Inoltre sono state riprogettate le centrali termiche che andranno a sostituire le caldaie tradizionali a gasolio con caldaie a condensazione a gas metano con elevatissimi coefficienti di prestazione (COP). Inoltre è già pronto per essere realizzato il progetto di solar cooling per la produzione dei fluidi refrigeranti attraverso l'apporto dell'energia solare.
E' prevista anche l'installazione di sistema di regolazione e controllo dell'impianto di climatizzazione locale e della centrale di produzione dei fluidi termovettori
Naturalmente un profondo restyling dell'edificio non poteva trascurare l'aspetto dell'illuminazione che è stato rimodernato con la sostituzione dei corpi lampada a tubi fluorescenti con nuovi corpi a tecnologia LED. L'intero impianto di illuminazione è regolato e controllato da un sistema che ottimizza i flussi luminosi in funzione delle reali necessità nel rispetto della normativa vigente.

Caratteristiche dell’edificio
A metà strada tra due simboli della storia e della cultura romana, la Piramide Cestia e la Basilica di San Paolo, Palazzo Argonauta è uno degli edifici più grandi di Roma. Con i suoi 70.000 m² e 275.000 m³ per dimensioni viene subito dopo il Palazzo della Farnesina (120.000 m² e 720.000 m³) e ospita un variegato numero di realtà private e pubbliche. I suoi inquilini vanno dal Dipartimento Roma Capitale all’ufficio migrazione e ragioneria della Prefettura, dal Centro linguistico dell’Università La Sapienza alla palestra McFIT, più tutta una serie di uffici privati tra cui quello del Gruppo Valle Giulia, proprietaria dell’edificio che ha voluto dare un valore green al proprio immobile.
I lavori di restyling e di reingegnerizzazione si sono presentati fin da subito molto sfidanti sia per le dimensioni e le peculiarità architettoniche dell’edificio, nato negli anni ’70 su progetto dell’Ing. Renato Armellini, sia perché realizzati con tutti gli “abitanti” del palazzo quotidianamente operativi che nelle giornate di massima affluenza possono raggiungere anche le 7.000 presenze (media di 4.000). Tutte le facciate esterne sono state ridisegnate procedendo all’integrazione delle superfetazioni originarie (elementi aggettanti, senza alcuna apparente regola) con l’architettura generale del complesso. Si è voluto ricucire lo skyline per alleggerire l’immagine dell’intero sistema, collegando in quota tre diversi volumi mediante elementi orizzontali che ne consentissero la continuità morfologica, pur rimarcando le differenze. Tutto ciò per rendere contemporaneo un edificio imponente e molto marcato dal punto di vista architettonico, gestendo interventi complessi (sia sul piano formale che tecnico-gestionale) su una struttura preesistente e davvero problematica, anche in conseguenza di interventi successivi molto invasivi, specie sul piano strutturale.

Le prerogative del palazzo
Il progetto originale dell’edificio prevedeva, infatti, una grande piastra di tre livelli fuori terra, con innestati sopra tre parallelepipedi in elevazione, orientati da est a ovest. In un secondo momento i tre corpi di fabbrica sono stati collegati tra di loro, generando un enorme volume compatto sui fronti principali, più frammentato sul retro, con chiostrine interne tra un collegamento e l’altro. Il prospetto principale su via Ostiense ne ricordava l’impostazione originaria in quanto i fronti degli edifici primigeni erano più alti dei corpi di fabbrica di collegamento, determinando un prospetto con uno skyline merlato, mentre la piastra di attacco a terra era riconoscibile perché aggettante rispetto all’edificio soprastante. Le tre torri erano ulteriormente accentuate da elementi verticali composti da pannelli prefabbricati in cemento di sezione concava e da un sistema di pannelli di coronamento di vetroresina, che esaltavano l’effetto di merlatura dei tre volumi principali. Sino al 2000 i marcapiano dei corpi di fabbrica intermedi erano rivestiti da pannelli di vetro smaltato di colore giallo; queste fasce orizzontali si sviluppavano anche sul corpo avanzato per i primi due livelli sul fronte di via Ostiense, rimembranza della piastra originaria del progetto.

Il restyling esterno
La necessità di intervenire dall’esterno senza compromettere le attività all’interno ha indotto i progettisti a ipotizzare un sistema di trama e ordito, ovvero un sistema composto da lamelle verticali di alluminio, sulle quali montare le facciate in tutti i loro componenti: dai pannelli fotovoltaici ai carter di rivestimento dei pannelli di cemento, dagli impianti elettrici alle pale frangisole. In questo modo le lame verticali diventano il fil rouge del progetto sul quale comporre tutti gli altri elementi, consentendo quindi di poterlo sviluppare in corso d’opera in funzione delle varie problematiche, in particolar modo tecniche, che via via si sarebbero palesate. Un sistema esterno sul quale montare tutti gli altri elementi della facciata avrebbe inoltre consentito di svincolarsi dai limiti fisici e architettonici del preesistente, dalle problematiche geometrico-costruttive degli sfalsamenti e degli allineamenti, a quelle degli ancoraggi, a quelle di tenuta agli agenti atmosferici. I costoloni verticali che marcavano il confine tra un blocco e l’altro, sono stati mantenuti soprattutto perché troppo complicato e oneroso rimuoverli. A quel punto da un “problema” ne è stata colta un’opportunità trasformando tali lesene in passaggi verticali per le tubazioni degli impianti di climatizzazione. Il progetto ha poi previsto la carterizzazione dei costoloni con lamiere di alluminio a cui sono stati aggiunti segmenti di brise-soleil, per una ricucitura orizzontale che ne stemperasse lo iato verticale.
Questi elementi si sono rivelati fondamentali anche perché tra i vari blocchi vi era uno scarto di altezza di molti centimetri e il rendere continuo il coronamento dell’edificio avrebbe evidenziato le differenze tra i due lati opposti (superiori ai 40 cm). Decidere di estendere i costoloni sino alla quota superiore, privilegiandone la continuità verticale su quella orizzontale degli elementi di coronamento, ha consentito di rendere non percepibile tale differenza, e al contempo di rendere più evidente come l’intero complesso fosse composto non più da tre blocchi connessi tra di loro, ma da cinque blocchi, con quelli intermedi di carattere diverso. In questo modo si è mantenuta una continuità storica, ma reso l’intero organismo più omogeneo e coerente.
Il coronamento originale del palazzo era stato realizzato da pannelli di vetroresina su montanti di alluminio estruso. Il progetto di restyling ha recuperato i montanti di alluminio, ma i pannelli di vetro resina sono stati sostituiti con pannelli di PTFE, una membrana di ultima generazione, molto leggera e traforata per opporre minor resistenza al vento, e particolarmente resistente agli agenti fisici, meccanici e chimici. Per esaltare lo stacco tra un pannello e l’altro, in continuità con il concetto originario di realizzare un coronamento composto da singoli elementi ben distinti tra loro, questi pannelli di PTFE sono stati previsti leggermente inclinati per creare una linea d’ombra per enfatizzare l’alternarsi della sequenza di elementi e al contempo dare più slancio all’intero sistema. I bow-window sono concepiti come tasselli di vetro incastonati nella facciata; per questa ragione sono stati liberati da qualsiasi sovrastruttura, realizzati vetri a tutta altezza su di un sistema a courtain-wall. Al fine di rendere gli elementi perfettamente integrati anche da un punto di vista ravvicinato è stato pensato di rivestire l’intradosso dei solai in aggetto con dei pannelli di alluminio a doghe, che sembrano riflettere le trame orizzontali delle pale brise-soleil.

La riqualificazione interna
Il progetto di riqualificazione è esteso agli interni, in particolare al piano terra per il riassetto del sistema distributivo e l’orientamento per accedere ai vari corpi di fabbrica.
L’edificio è molto complesso e, nel corso dei decenni, ha subito vari interventi sporadici ed estemporanei senza alcuna logica di lungo respiro, e senza alcun tipo di coordinamento. Questo ha determinato notevoli problemi, molti dei quali si sono rivelati solo in corso d’opera, quando ormai le aree erano state compartimentate, gli accessi modificati, alcune parti già demolite, e la necessità di chiudere in tempi rapidi (dato il disagio causato agli utenti), una priorità di fondamentale importanza. Per questa ragione si è deciso di adattare lo sviluppo dei progetti alle condizioni imposte dal contesto, cercando di interpretarlo nel miglior modo possibile, al contempo mantenendo un linguaggio espressivo omogeneo, risolto assumendo la massima coerenza possibile nell’approccio alle soluzioni architettoniche.

Accessi, sistema distributivo e segnaletica
Gli accessi avvengono dai quattro punti cardinali: ovest (Corpo B, da via Ostiense, l’accesso principale), nord (Corpo A, verso il parcheggio interno e in direzione degli ex Mercati Generali), est (Corpo D, verso il parcheggio interno e in direzione della Garbatella), sud (Corpo C, da via degli Argonauti, in direzione della Basilica di San Paolo). Originariamente gli assi di percorrenza si incontravano al centro (nella zona definita: transetto), ma sia verso est (verso il Corpo D) che verso sud (via degli Argonauti) i corridoi non avevano sbocco diretto verso l’esterno. Inoltre, per esigenze di compartimentazione antincendio, le scale erano tutte chiuse in arrivo a terra. La conseguenza era che chiunque si addentrasse nell’edificio aveva seri problemi a orientarsi, sia in accesso che in uscita. Un’azione obbligata è stata quindi da un lato quella di aprire gli assi principali di distribuzione nelle due direzioni nord-sud ed est-ovest. Altro parametro determinante era lo studio di una segnaletica che fosse efficace nell’aiutare gli utenti a orientarsi all’interno dei numerosi corpi scale e dei tanti uffici dislocati al suo interno. La questione della segnaletica ha assunto un ruolo talmente importante e incisivo da diventare elemento caratterizzante l’architettura e la luce degli spazi interni. A volte, anche come elemento dissuasore per i sottoscala.

Vincoli strutturali e impiantistici
È stato deciso di dare risalto alla struttura dell’edificio, in particolare ai pilastri, estraendoli dalle murature e finte nicchie all’interno delle quali erano stati sepolti dai vari interventi che si sono susseguiti. In alcuni punti è stato addirittura deciso di allargare i corridoi per farli emergere e mettere in risalto; tutti i pilastri inoltre sono stati evidenziati di giallo, dello stesso tono di colore dei pannelli di rivestimento delle facciate degli anni ’80, a memoria delle trasformazioni avvenute nel corso del tempo. Altro aspetto che ha determinato lo svolgersi del progetto sono gli impianti e le strutture nelle condizioni in cui sono state trovate una volta aperti i controsoffitti: si è cercato di bonificare e di razionalizzare dove possibile, ma in ogni caso i vincoli determinati dal passaggio delle tubazioni di scarico, o di adduzione, le travi, le scale e le varie interferenze hanno costituito seri ostacoli allo sviluppo di un progetto organico. Emblematico è il caso dell’atrio A. Una volta smontati i controsoffitti sono state trovate intere colonne di scarico dei piani superiori che in arrivo all’intradosso del solaio deviavano per parecchi metri in linea orizzontale in pendenza per scendere al livello sottostante in punti a volte molto distanti tra loro. Questi tratti orizzontali dovevano inoltre tener conto anche delle travi e delle interferenze con altri tipi di impianti. Anche travi rampanti di c.a. delle scale erano stati tagliati per consentire il passaggio delle tubazioni. Non essendo possibile abbassare il piano dei controsoffitti a una quota tale da inglobare quanto sopra, per via dei limiti di altezza minima imposti dalle normative, si è deciso semplicemente di placcare ogni elemento in modo autonomo, staccando le varie forme con strisce di luce, alle quali è stata affidata l’illuminazione degli ambienti.

Il transetto
In quell’incrocio è presente un locale contatori elettrici molto invasivo; lo spostamento si è rivelato molto complesso e oneroso, e inoltre avrebbe determinato un disservizio in termini di sospensione della erogazione di energia elettrica a tutti i Conduttori del Corpo B, creando notevoli disagi. Non potendolo spostare, l’unica soluzione possibile restava di renderlo invisibile: è bastato rivestirlo di lastre di acciaio a specchio riflettente e mettere i triangoli di segnaletica sugli spigoli. Per prevenire un potenziale senso di angoscia a chi si inoltra nel Transetto - punto di incrocio di corridoi che si addentrano nelle viscere dell’edificio per molte decine di metri - è stato pensato di rendere l’area come se non fosse il nucleo più interno, bensì un punto di apertura verso l’esterno e trasmettere una piacevole sensazione di respiro. Per tale ragione è stato previsto l’inserimento di tagli luminosi al soffitto, aumentandone sia l’intensità che la temperatura di colore, per cui per contrasto chiunque si avvicini verso il Transetto ottiene l’illusione che in quel punto vi sia una apertura verso l’alto, salvo poi percepirne lo squarcio nel momento in cui vi giunge.

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