Cambio di destinazione d’uso e ordine di demolizione: quando le “opere interne” non bastano a escludere l’abuso
Il Consiglio di Stato chiarisce i limiti delle “opere interne” e riafferma la centralità del carico urbanistico, anche alla luce del decreto Salva Casa
Negli ultimi mesi il tema del cambio di destinazione d’uso ha ritrovato centralità nel dibattito urbanistico, complici le novità normative introdotte dal cosiddetto Salva Casa (d.l. n. 69/2024, convertito con legge n. 105/2024). Le modifiche hanno ampliato gli strumenti di sanatoria edilizia, ma – come ribadito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 9942 del 16 dicembre 2025 – non hanno modificato il principio cardine secondo cui il passaggio tra categorie funzionalmente autonome rappresenta un intervento urbanisticamente rilevante, con conseguente necessità di un titolo edilizio idoneo.
Un caso emblematico
La vicenda giudiziaria prende le mosse da un intervento su un edificio storico, già oggetto di autorizzazione per la ricostruzione, poi interessato da una serie di modifiche catastali e funzionali. Il cambio di destinazione d’uso da abitazione a ufficio è stato ritenuto dalla pubblica amministrazione un abuso edilizio, con conseguente ordine di demolizione. Il ricorso contro tale provvedimento è stato respinto in primo grado e infine confermato in appello.
Le argomentazioni dell’appellante
La difesa aveva sostenuto che si trattasse di semplici opere interne, ininfluenti sul carico urbanistico, invocando inoltre il legittimo affidamento derivante dal lungo tempo trascorso dalla realizzazione degli interventi. Infine, era stata contestata la sproporzione della sanzione demolitoria rispetto alla presunta irregolarità, ritenendo sufficiente una sanzione pecuniaria.
Tesi, queste, tutte rigettate dal Consiglio di Stato.
La cornice normativa: tra edilizia e urbanistica
La pronuncia chiarisce che il mutamento d’uso tra categorie funzionalmente autonome – come da residenziale a direzionale – non è un dettaglio edilizio, ma un fatto urbanisticamente rilevante, poiché incide sul carico urbanistico. È un principio sancito dall’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001, che impone l’obbligo di permesso di costruire per tali trasformazioni, anche in assenza di aumento di volume o modifiche strutturali.
Neanche il nuovo art. 36-bis introdotto dal Salva Casa modifica questo quadro: pur ampliando le possibilità di sanatoria, non elimina la distinzione tra profilo edilizio e profilo urbanistico.
La demolizione come misura ordinaria
Il Consiglio di Stato ha escluso l’applicabilità della sola sanzione pecuniaria. In presenza di un abuso urbanisticamente rilevante, la demolizione rimane la misura ordinaria. Solo in fase esecutiva – e non a monte – si potrà valutare se essa comporti danni tali da richiedere una conversione in sanzione pecuniaria.
Due punti centrali: onere della prova e uso effettivo
Particolarmente significativo il passaggio in cui il Consiglio chiarisce che l’onere della prova circa la destinazione legittima pregressa spetta al privato. In assenza di documentazione certa, l’amministrazione può qualificare l’intervento come abusivo.
Inoltre, non basta che le modifiche siano formalmente “interne”: ciò che conta è l’esito funzionale dell’intervento. Se si configura un uso stabile diverso da quello assentito, il mutamento è da considerarsi urbanisticamente rilevante.
La funzione pesa più della forma
La sentenza n. 9942/2025 rappresenta un monito chiaro per professionisti, tecnici e amministrazioni: anche in tempi di maggiore flessibilità normativa, come quelli introdotti dal Salva Casa, il cambio di destinazione d’uso tra categorie autonome non può essere trattato come una mera variazione interna.
In sintesi:
– la funzione dell’immobile prevale sulla materialità delle opere;
– la trasformazione d’uso richiede un titolo edilizio adeguato;
– la demolizione rimane la regola nei casi di abuso urbanisticamente rilevante;
– la sanabilità resta subordinata alla compatibilità con la disciplina urbanistica vigente.
Un richiamo, infine, alla responsabilità del tecnico e del proprietario, chiamati a valutare non solo l’apparente semplicità dell’intervento, ma l’effetto che esso produce sul territorio, sui servizi, e sul carico urbanistico complessivo.

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