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Contenimento del consumo di suolo e riuso del patrimonio esistente

Le politiche ambientali e le istanze emergenti per il contenimento del consumo del suolo sono al centro di un ampio ed approfondito dibattito e la priorità del riuso delle superfici edificate esistenti, rispetto all'ulteriore consumo di aree inedificate, non è più soltanto espressione di una scelta ideologica, ma costituisce principio fondamentale nella materia del governo del territorio.
Il tema del consumo di suolo è, quindi, legato alla necessità di contenere il consumo di una risorsa esauribile e non rinnovabile e di passare ad un nuovo modello di sviluppo territoriale incentrato prevalentemente sulla riqualificazione e sul riuso del patrimonio edilizio esistente.

L'obiettivo dell'azzeramento del consumo di suolo è stato definito a livello europeo già con la strategia tematica per la protezione del suolo del 2006. La commissione Europea ha ritenuto utile anche indicare le priorità d'azione e le modalità per raggiungere tale obiettivo, e nel 2012, ha pubblicato le linee guida per limitare, mitigare e compensare l'impermeabilizzazione del suolo.
Il 2 Maggio 2022 è entrato in vigore l'ottavo programma d'azione per l'ambiente che mira ad accelerare la transizione verde in modo equo e inclusivo, con l'obiettivo a lungo termine per il 2050 di "vivere bene entro i limiti del nostro pianeta", già sancito nel settimo programma (2014-2020). La Commissione ha inoltre presentato un elenco di indicatori chiave per monitorare i progressi compiuti sugli obiettivi dell'UE in materia di ambiente e clima fino al 2030 e sulla visione a lungo termine per il 2050.

La pratica della rigenerazione urbana è inscindibilmente connessa al fenomeno dell'abbandono di spazi urbani ed edifici dismessi nella città post-industriale, che entra prepotentemente nel dibattito nazionale ed internazionale sulla gestione urbanistica del territorio.

Infatti, dopo la crisi energetica degli anni '70, molte città europee hanno dovuto affrontare profonde trasformazioni economiche e sociali: i risultati di questi mutamenti sono rimasti impressi sul territorio creando un'eredità di spazi abbandonati molto consistente e tipologicamente varia che si mantiene quasi intatta ancora oggi.
Ex aree industriali, ex fabbriche, ex mattatoi, ex scuole, ex uffici, ex scali ferroviari, ex caserme sono i alcuni dei nomi degli spazi in abbandono che, seppure a scala molto diversa, rappresentano oggi una delle sfide più importanti per lo sviluppo della città che ha terminato la sua espansione, ma vuole crescere ancora.

La riqualificazione dell'esistente si rivela, pertanto, un tema di considerevole importanza nella pratica urbanistica anche nell'ottica di un'efficace politica per uno sviluppo sostenibile delle città e per combattere il fenomeno dello "sprawl urbano"; limitando il dilatarsi incontrollato della città si potrà preservare il patrimonio naturale collocato al di là dei nuclei abitati e dare vita a città compatte che sappiano recuperare e rifunzionalizzare l'esistente.
Recuperare gli spazi abbandonati dai processi produttivi o restituire nuova qualità ambientale, economica e sociale a quartieri degradati risponde perfettamente al concetto della città sostenibile, limitando la dispersione urbana e riducendo gli impatti ambientali insiti nell'ambiente costruito.
Le riferite problematiche si pongono in maniera assai più significativa quando il patrimonio inutilizzato è pubblico poiché la sfera di interesse attrae temi quali la valorizzazione, la riconversione, il reperimento delle risorse e il miglioramento della gestione.
In Italia Il complesso quadro di norme statali e la difficoltà di seguire gli iter procedurali rende la gestione dell'immenso patrimonio pubblico difficoltoso da parte delle amministrazioni territoriali. La lenta o inattuata procedura di dismissione del patrimonio e il conseguente stato di abbandono in cui versano molte strutture hanno ricadute negative sulla città, sull'economia, sull'ambiente. La valorizzazione di tali patrimoni rappresenterebbe in partenza un'occasione di rigenerazione territoriale intesa a più livelli ˗ sociale, economica, culturale, paesaggistica ˗ tuttavia la problematica dei siti dismessi è sentita come un "peso" da dover gestire più che come un'opportunità di sviluppo territoriale strategico. Le cause risiedono nella mancanza di procedimenti burocratici snelli, nella non chiarezza di norme di riferimento, nell'assenza di collaborazioni virtuose tra Stato, Regioni, Comuni.

Si aggiunga la mancanza di una corretta quantificazione del patrimonio immobiliare pubblico (una prima forma di censimento risale alla metà degli anni '80 ad opera di una commissione parlamentare istituita appositamente, la commissione Cassese), e la non chiarezza di alcune caratteristiche rilevanti quali, ad esempio, la distribuzione tra lo Stato e gli enti territoriali, la localizzazione, le destinazioni d'uso, le potenzialità di valorizzazione e dismissione.
In tal senso, il primo importante passo in avanti è stato compiuto nel 2017 quando il MEF ha raccolto l'elenco delle partecipazioni detenute al 31 dicembre 2015 dalle Amministrazioni Pubbliche e pubblicato il rapporto sul Modello di stima del valore del patrimonio immobiliare pubblico, che rappresenta il primo tentativo di elaborare una stima attendibile dei cespiti immobiliari riconducibili a soggetti pubblici.
Ma è solo a Luglio 2023 che l'Agenzia del Demanio pubblica il suo primo Rapporto annuale sull'attività di gestione del patrimonio immobiliare dello Stato (un documento che esprime la visione dell'Ente impegnato a riqualificare gli immobili e a rigenerare le aree che li ospitano) e ha adottato un Piano Strategico Industriale quinquennale (2022-2026), che rappresenta uno strumento di pianificazione e programmazione delle attività, che misura i risultati attraverso indicatori specifici, che guarda con attenzione il mutato contesto, i fattori del cambiamento e gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e del RePower Eu.
Edifici resi disponibili per federalismo demaniale
Il rafforzamento della governance quindi, nonché la necessità di cooperazione tra Istituzioni deriva anche dalla consapevolezza, progressivamente maturata con l'esperienza, di quanto i processi di valorizzazione e rifunzionalizzazione possano assumere una valenza strategica, concorrendo sia a trasformazioni e riqualificazioni di interi contesti urbani sia all'attivazione di processi virtuosi di abbattimento della spesa e del debito pubblico e di valorizzazione della redditività degli asset, ma soprattutto allo sviluppo economico a livello territoriale. Dall'evoluzione del concetto di valorizzazione immobiliare, infatti, si è giunti a riconoscere le maggiori potenzialità di una valorizzazione unitaria del patrimonio immobiliare pubblico, favorendo la strutturazione di processi di valorizzazione complessi e promossi con il coinvolgimento sinergico di molteplici proprietari pubblici e dei soggetti istituzionali competenti.

Ciò senza dimenticare l'importanza di programmare opportuni processi decisionali inclusivi: difatti, la partecipazione dei cittadini è prioritaria, non soltanto per individuare, appoggiare, sviluppare e sorreggere politiche di sostenibilità, ma anche e soprattutto quale strumento per giungere a soluzioni condivise e a vere e proprie politiche di collaborazione e supporto. Da una rigida concezione di patrimonio immobiliare pubblico, definito in funzione della sola titolarità soggettiva degli immobili, è stata pertanto maturata l'esigenza di adottare politiche e strategie innovative di valorizzazione integrata.


Editoriale a cura dell'Architetto Matteo Patamia

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