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Gravi difetti nei lavori condominiali: quando si può sequestrare il patrimonio dell’impresa appaltatrice?

La ristrutturazione di un condominio può diventare terreno di scontro legale quando emergono gravi difetti nei lavori eseguiti. Ma in questi casi, è possibile chiedere il sequestro dei beni dell’impresa appaltatrice in via cautelare? La risposta non è automatica e dipende da requisiti giuridici precisi.

Lo ha ricordato il Tribunale di Genova con un’ordinanza depositata il 1° agosto 2025, rigettando il ricorso di un condominio che chiedeva il sequestro giudiziario e conservativo dei beni – mobili e immobili – di un’impresa ritenuta responsabile di lavori difettosi per un valore stimato di oltre 400.000 euro.

La vicenda: appalto inadempiuto e richiesta di sequestro
Il condominio, a fronte di lavori eseguiti in maniera difforme dal contratto e gravemente viziati, aveva avviato un’azione legale contro l’impresa. Temendo l’eventuale insolvenza della ditta prima del termine del processo, ha chiesto al giudice di procedere al sequestro dei beni, invocando due strumenti distinti previsti dal codice di procedura civile: il sequestro giudiziario (art. 670 c.p.c.) e il sequestro conservativo (art. 671 c.p.c.).

Sequestro giudiziario: inammissibile se non c’è contesa sulla proprietà
Il Tribunale ha escluso la possibilità di ricorrere al sequestro giudiziario, rilevando un errore giuridico nella richiesta: tale misura è infatti utilizzabile solo in presenza di una controversia sulla proprietà o il possesso dei beni oggetto del provvedimento. Nel caso in questione, invece, il conflitto verteva su un credito da risarcimento danni, e non su una titolarità contestata.

Sequestro conservativo: serve il rischio concreto di insolvenza
Diverso è il caso del sequestro conservativo, che può essere concesso se ricorrono due presupposti fondamentali:
– Fumus boni iuris: ossia la verosimile esistenza del diritto di credito;
– Periculum in mora: ovvero il timore concreto che il debitore possa, nelle more del giudizio, disperdere il proprio patrimonio o diventare insolvente.
Nel caso esaminato, il Tribunale ha riconosciuto la fondatezza della pretesa risarcitoria (fumus boni iuris), supportata da una consulenza tecnica preventiva (ATP) che quantificava con precisione i danni. Tuttavia, mancava l’altro presupposto: l’impresa aveva presentato bilanci in ordine e risultava pienamente solvibile, senza alcun segnale di rischio economico imminente.

Le conseguenze: ricorso respinto
Alla luce di quanto emerso, il giudice ha respinto il ricorso del condominio, sottolineando che la cautela richiesta – pur comprensibile sotto il profilo della tutela del credito – non poteva essere accolta in assenza di un pericolo concreto e attuale.

Tutela sì, ma entro i limiti di legge
Il caso chiarisce che il sequestro dei beni di un’impresa appaltatrice non è una misura automatica, anche in presenza di lavori gravemente difettosi. Serve una doppia prova: da un lato, la fondatezza della pretesa economica; dall’altro, la dimostrazione concreta del rischio di perdere la garanzia del credito. Senza quest’ultima, il ricorso cautelare rischia di essere rigettato, come avvenuto a Genova.

Un monito per i condomìni: in caso di contenzioso edilizio, occorre muoversi con prontezza, preparare documentazione solida e valutare, con l’assistenza legale, la reale probabilità che il patrimonio dell’impresa possa sfuggire a un’eventuale esecuzione forzata.

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