Il Ministero delle infrastrutture e trasporti rende noto l’avvio della piattaforma informatica del Servizio Contratti Pubblici (SCP) che realizza il Sistema a rete tra il MIT, le Regioni e Province autonome.

Dal 01/07/2019 ha preso il via il Sistema a rete per la pubblicazione dei dati concernenti i contratti pubblici, che vede la cooperazione tra il Ministero delle infrastrutture e trasporti (Servizio contratti pubblici) e le Regioni e Province autonome per la realizzazione del portale unico per la pubblicità delle gare e dei programmi di lavori, beni e servizi.

A partire da tale data (o dalla data successiva di attivazione della piattaforma unica delle trasparenza e pubblicità in ciascuna regione, che sarà resa nota tramite i previsti comunicati degli Osservatori regionali):
- le stazioni appaltanti statali e di livello centrale e le stazioni appaltanti di ambito locale con sede nelle Regioni/Province autonome che non hanno ancora attivato un proprio sistema informativo assolveranno agli obblighi informativi, di cui sopra, tramite il Servizio contratti pubblici disponibile all’indirizzo https://www.serviziocontrattipubblici.it;
- le stazioni appaltanti di ambito locale con sede nelle Regioni/Province autonome che hanno attivato un proprio sistema informativo pubblicheranno su detti sistemi, i bandi/avvisi ed esiti di gara e i programmi di lavori, beni e servizi, secondo le indicazioni fornite dagli Osservatori Regionali o strutture equivalenti; in caso di utilizzo della piattaforma SCP quest’ultima reindirizzerà le stazioni appaltanti direttamente sui sistemi informativi regionali attivi.

 

 

Fonte: Bollettino di Legislazione Tecnica online
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La Corte di giustizia UE, con la sentenza del 04/07/2019, causa C-377/17, si pronuncia in merito alla fissazione delle tariffe minime e massime per gli onorari degli ingegneri e architetti.

Secondo i giudici europei il mantenimento delle tariffe obbligatorie per i servizi di progettazione degli architetti e degli ingegneri da parte della Germania costituisce violazione degli obblighi derivanti dalla Direttiva 2006/123/CE (recepita in Italia dal D. Leg.vo 26/03/2010, n. 59) relativa ai servizi nel mercato interno.

La Corte di giustizia è giunta a tale decisione sulla base della considerazione che la fissazione di tariffe minime e massime per i servizi di progettazione degli architetti e degli ingegneri non è idonea da sola a raggiungere l’obiettivo consistente nel garantire un elevato livello di qualità delle prestazioni di progettazione ed assicurare un’adeguata tutela dei consumatori. La possibilità di fissazione di tariffe obbligatorie potrebbe essere consentita, secondo la Corte, solo nell’ambito di un sistema di norme che garantisca la realizzazione del suddetto obiettivo in modo “coerente e sistematico” e che riguardi anche l’esercizio delle suddette prestazioni.

Nella fattispecie la normativa tedesca è stata considerata “non coerente” in quanto, da un lato prevede tariffe obbligatorie e dall’altro non riserva le attività di progettazione a persone che svolgono un’attività regolamentata, consentendo lo svolgimento di prestazioni anche da parte di soggetti che non hanno dimostrato la loro idoneità professionale a tale scopo.

 

 

Fonte: Bollettino di Legislazione Tecnica online
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È stato pubblicato il Manuale operativo per gli acquisti verdi, il quale fornisce indicazione operative alle stazioni appaltanti e ai progettisti per la corretta applicazione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) per l'affidamento dei servizi energetici per gli edifici con criteri di sostenibilità.

Ai sensi dell'art. 34 del Codice appalti (D. Leg.vo 18/04/2016, n. 50), le stazioni appaltanti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei Criteri Ambientali Minimi (CAM).

I CAM, e in particolare i criteri premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all'art. 95, del D. Leg.vo 50/2016.

Il Manuale operativo per gli acquisti verdi: Affidamento dei Servizi Energetici per gli edifici con criteri di sostenibilità (realizzato nell’ambito delle attività per la promozione del Green Public Procurement del progetto PREPAIR) fornisce indicazione operative alle stazioni appaltanti e ai progettisti per la corretta applicazione dei CAM per l'affidamento dei servizi energetici per gli edifici, di illuminazione e forza motrice e di riscaldamento/raffrescamento, adottati con il D. Min. Ambiente e Tutela Terr. e Mare 07/03/2012.

Il Manuale è diviso in 3 parti:
- la prima parte contiene le disposizioni introdotte dal D. Leg.vo 50/2016 per rendere “verde” una procedura di gara (obbligo di inserimento dei CAM e criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa);
- la seconda parte comprende le indicazioni operative per le stazioni appaltanti sull’ambito di applicazione del CAM Servizi Energetici (indicazioni e riferimenti normativi per impostare la documentazione di gara nelle varie fasi dell’appalto);
- la terza parte fornisce indicazioni in merito alle certificazioni di qualità richieste nei CAM Servizi Energetici.

 

 

Fonte: Bollettino di Legislazione Tecnica online
www.legislazionetecnica.it

Dopo l'approvazione della conversione in legge, tutte le modifiche su:

  • Applicazione adempimenti a tutte le tipologie strutturali;
  • Denuncia dei lavori;
  • Collaudo statico;
  • Nuove categorie di interventi in zone sismiche e gradi di rilevanza;
  • Assorbimento adempimenti sulle opere strutturali;
  • Eliminazione relazione del D.L. a strutture ultimate e collaudo statico per interventi minori.

Il D.L. 18/04/2019, n. 32 (c.d. “sblocca cantieri”), convertito in legge dal Senato il 06/06/2019 e in procinto di passare alla Camera per la ratifica definitiva, ha introdotto innovazioni al Testo unico dell’edilizia di cui al D.P.R. 380/2001, concernenti la disciplina e gli adempimenti necessari alla esecuzione di opere strutturali e delle costruzioni in zone sismiche. Le modifiche sono state introdotte dall’art. 3 del D.L. 32/2019, il quale, seppure rubricato “Disposizioni in materia di semplificazione della disciplina degli interventi strutturali in zone sismiche”, reca in realtà interventi concernenti le opere strutturali in generale.
Lievi le modifiche rispetto all'impianto originario del decreto, di seguito il dettaglio.

OPERE STRUTTURALI, Ampliamento ambito di applicazione - Quanto alle opere strutturali, è stato eliminato dall’art. 65 del D.P.R. 380/2001 il riferimento alle opere in conglomerato cementizio armato, normale e precompresso, ed a struttura metallica, sostituendolo con un più generico “opere realizzate con materiali e sistemi costruttivi disciplinati dalle norme tecniche in vigore”.
In pratica, lo “sblocca cantieri” ha inteso estendere gli obblighi previsti dal T.U. alle opere strutturali in generale, realizzate con qualsiasi materiale ammesso dalla normativa tecnica.
L’intervento normativo è stato evidentemente realizzato in maniera parziale, in quanto rimane il riferimento dell’art. 53 del D.P.R. 380/2001 alle sole opere in conglomerato cementizio armato, normale e precompresso, ed a struttura metallica, così come non sono stati variati il titolo dell’art. 65 del D.P.R. 380/2001 che ancora recita “Denuncia dei lavori di realizzazione e relazione a struttura ultimata di opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica” nonché il titolo dell’intero Capo II della Parte II, anch’esso rimasto come in origine.
Andrebbe peraltro valutata una possibile specificazione della formulazione della norma, in particolare laddove la stessa fa riferimento ad opere realizzate con materiali e sistemi costruttivi disciplinati dalle norme tecniche in vigore, al fine di meglio chiarire l’ambito applicativo; ciò, anche in considerazione della rilevanza, anche penalistica, della disposizione (per il caso di omessa denuncia delle opere) nel sistema del Testo unico dell’edilizia, onde garantire l’osservanza del principio costituzionale di determinatezza e tassatività delle fattispecie di reato.

OPERE STRUTTURALI, Ufficio cui presentare la denuncia dei lavori - L’art. 65 del D.P.R. 380/2001 - dopo le modifiche ad esso apportate dal D.L. 32/2019  - dispone che la denuncia delle opere deve essere presentata allo Sportello unico per l’edilizia, tramite PEC (nella versione precedente si disponeva ugualmente che la denuncia andasse presentata allo Sportello unico, il quale a sua volta provvedeva a trasmetterla al competente ufficio tecnico regionale).
La modifica in questione appare di scarsa rilevanza pratica: occorre in ogni caso fare riferimento alla propria realtà regionale per conoscere l’ufficio competente, le modalità per la presentazione della denuncia e la modulistica da utilizzare.

OPERE STRUTTURALI, Modifica ai contenuti della denuncia dei lavori - Non è più previsto, dopo le modifiche introdotte all’art. 65 del D.P.R. 380/2001 ad opera dell’art. 3 del D.L. 32/2019, che la documentazione a corredo della denuncia delle opere strutturali debba essere presentata in triplice copia.
Sempre tramite PEC, lo Sportello unico rilascia al costruttore, all’atto stesso della presentazione, l’attestazione dell’avvenuto deposito (art. 65 del D.P.R. 380/2001, comma 4, ove non si prevede più, dopo il D.L. 32/2019, il rilascio anche di una copia del progetto e della relazione).
Anche in questo caso, le modifiche appaiono di scarsa rilevanza pratica, e il tecnico farà riferimento alle procedure operative previste nella propria realtà locale. Peraltro, l’art. 66 del D.P.R. 380/2001 prevede tutt’ora la conservazione in cantiere di copia del progetto e della relazione, copia della quale al momento, in teoria, non è previsto più il rilascio obbligatorio.

OPERE STRUTTURALI, Modifica sulla presentazione della relazione a strutture ultimate e del collaudo - La relazione a strutture ultimate (possiamo continuare a chiamarla così anche se si prevede ora che venta trasmessa "ultimate le parti della costruzione che incidono sulla stabilità della stessa", ma la sostanza non cambia) è presentata non più in triplice copia ma via PEC (art. 65 del D.P.R. 380/2001, comma 6). Lo Sportello unico rilascia a sua volta via PEC l'attestazione dell'avvenuto deposito su una copia della relazione, trasmettendola altresì al competente ufficio tecnico regionale (art. 65 del D.P.R. 380/2001, comma 7).
Quanto al certificato di collaudo, anch'esso è presentato non più in triplice copia ma via PEC (art. 67 del D.P.R. 380/2001, comma 7)
L'adempimento concernente la presentazione della relazione a strutture ultimate non è più dovuto per alcuni interventi minori eseguiti in zone sismiche (art. 65 del D.P.R. 380/2001, comma 8-bis; si veda più avanti). Per gli stessi interventi, il certificato di collaudo statico è sostituito dalla dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori (art. 67 del D.P.R. 380/2001, comma 8-bis; si veda più avanti).

COSTRUZIONI IN ZONE SISMICHE, Nuove categorie di interventi - La modifica più rilevante apportata dal D.L. 32/2019 è probabilmente rappresentata dall’introduzione del nuovo art. 94-bis del D.P.R. 380/2001, il quale prevede, nell’ambito degli interventi in zone sismiche soggetti agli obblighi previsti dal T.U., una ulteriore distinzione nelle seguenti categorie di interventi:
a) interventi “rilevanti” nei riguardi della pubblica incolumità;
b) interventi “di minore rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità;
c) interventi “privi di rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità.
Gli adempimenti da effettuare sono graduati in relazione alla suddetta scala di rilevanza, con l’imposizione solo per gli interventi rilevanti dell’onere della preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione (per gli interventi non soggetti ad autorizzazione preventiva le Regioni possono istituire controlli anche con modalità a campione).
Ai fini di cui sopra sono in particolare considerati dall’art. 94-bis del D.P.R. 380/2001:
a) interventi “rilevanti” nei riguardi della pubblica incolumità:
1) gli interventi di adeguamento o miglioramento sismico di costruzioni esistenti nelle località sismiche ad alta sismicità (zona 1) e media sismicità (zona 2, limitatamente a valori di peak ground acceleration compresi tra 0,20 e 0,25 g);
2) le nuove costruzioni che si discostino dalle usuali tipologie o che per la loro particolare complessità strutturale richiedano più articolate calcolazioni e verifiche;
3) gli interventi relativi ad edifici di interesse strategico e alle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, nonché relativi agli edifici e alle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un loro eventuale collasso;
b) interventi “di minore rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità:
1) gli interventi di adeguamento o miglioramento sismico di costruzioni esistenti nelle località sismiche a media sismicità (zona 2, limitatamente a valori di peak ground acceleration compresi tra 0,15 e 0,20 g e zona 3);
2) le riparazioni e gli interventi locali sulle costruzioni esistenti;
3) le nuove costruzioni che non rientrano nella fattispecie di cui alla lettera a), n. 2);
3-bis) le nuove costruzioni appartenenti alla classe di costruzioni con presenza solo occasionale di persone e edifici agricoli (classe I, par. 2.4.2 del D.M. 17/01/2018, vedi Interventi su edifici esistenti in base alle norme tecniche per le costruzioni (NTC 2018));
c) interventi “privi di rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità:
1) gli interventi che, per loro caratteristiche intrinseche e per destinazione d’uso, non costituiscono pericolo per la pubblica incolumità.
Spetterà al Ministero delle infrastrutture e trasporti, d’intesa con la Conferenza unificata, definire opportune linee guida per l’individuazione degli interventi da far rientrare in ciascuna delle categorie di cui sopra, nonché di “varianti di carattere non sostanziale” per le quali il preavviso (denuncia dei lavori) non sarà necessario.
Nelle more dell’emanazione delle linee guida in commento, le Regioni potranno, in alternativa:
- confermare le disposizioni previgenti;
- dotarsi di apposite elencazioni temporanee, che verranno poi superate al momento dell’emanazione delle linee guida, cui le Regioni stesse dovranno adeguarsi.

COSTRUZIONI IN ZONE SISMICHE, Assorbimento degli adempimenti sulle opere strutturali - Per tutti gli interventi soggetti alla disciplina sulle costruzioni in zone sismiche, l’assolvimento degli adempimenti previsti ed in particolare la presentazione del preavviso scritto e contestuale deposito del progetto e della dichiarazione asseverata del progettista, ai sensi dell’art. 93 del D.P.R. 380/2001, sono validi anche agli effetti della denuncia delle opere strutturali (comma 5 dell’art. 65 del D.P.R. 380/2001, come modificato dall’art. 3 del D.L. 32/2019.

COSTRUZIONI IN ZONE SISMICHE, Eliminazione relazione del D.L. a strutture ultimate e collaudo statico per interventi minori - Ai sensi dell’art. 65 del D.P.R. 380/2001, comma 8-bis - a sua volta introdotto dall’art. 3 del D.L. 32/2019 - l’adempimento concernente la relazione del direttore dei lavori a strutture ultimate (presentazione, rilascio dell’attestazione di deposito su una copia da parte dell’ufficio e trasmissione all’ufficio tecnico regionale, consegna al collaudatore) non si applica per alcuni degli interventi realizzati in zone sismiche indicati dal nuovo art. 94-bis del D.P.R. 380/2001, anch’esso introdotto dall’art. 3 del D.L. 32/2019, ed in particolare:
- per le riparazioni e gli interventi locali sulle costruzioni esistenti (che fanno parte come visto della categoria degli interventi “di minore rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità);
- per gli interventi che, per le loro caratteristiche intrinseche e per la destinazione d’uso dell’opera, non costituiscono pericolo per la pubblica incolumità (che costituiscono come viso interventi “privi di rilevanza” nei riguardi della pubblica incolumità).
Inoltre, per le medesime categorie di interventi, il certificato di collaudo statico è sostituito - ai sensi dell’art. 67 del D.P.R. 380/2001, comma 8-bis (introdotto dall’art. 3 del D.L. 32/2019) da una dichiarazione di regolare esecuzione, resa dal direttore dei lavori.

Nota a cura di Alfonso Mancini
Responsabile UT Legislazione Tecnica

Fonte: Bollettino di Legislazione Tecnica online
www.legislazionetecnica.it


È stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 151 del 29 giugno 2019, la legge 28 giugno 2019, n. 58 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi” – cd Decreto “ Crescita”.
 
La legge è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla G.U.R.I, ossia a decorrere dal 30 giugno 2019.
 
Per quanto di interesse, il provvedimento, istituisce anzitutto, presso Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Fondo “Salva-Opere”, con l’obiettivo di garantire il rapido completamento delle opere pubbliche e la tutela dei lavoratori (art. 47).
 
Tale fondo è alimentato dal versamento di un contributo pari allo 0,5 per cento del valore del ribasso offerto dall’aggiudicatario delle gare di appalti pubblici di lavori, nel caso di importo a base d’appalto pari o superiore a euro 200.000, e di servizi e forniture, nel caso di importo a base d’appalto pari o superiore a euro 100.000.
 
Detto contributo rientrerà tra gli importi a disposizione della stazione appaltante nel quadro economico predisposto dalla stessa al termine di aggiudicazione definitiva.
 
La stazione appaltante, sia essa amministrazione aggiudicatrice o contraente generale, entro trenta giorni dalla data dell’aggiudicazione definitiva, provvederà al versamento del contributo all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al Fondo.
 
Anche grazie all’azione dell’ANCE, tale onere non dovrebbe quindi gravare sull’operatore economico, come, invece, previsto nelle prime formulazioni del provvedimento.
 
Le risorse sono destinate a soddisfare, nella misura massima del 70 per cento, i crediti insoddisfatti dei sub-appaltatori, dei sub-affidatari e dei sub-fornitori nei confronti dell’appaltatore ovvero, nel caso di affidamento a contraente generale, dei suoi affidatari di lavori, quando questi risultino assoggettati a procedura concorsuale, nei limiti della dotazione del Fondo.
 
I “sub-contraenti”, al fine di ottenere il pagamento dei crediti maturati prima della data di apertura della procedura concorsuale, dovranno trasmettere all’amministrazione la documentazione comprovante l’esistenza del credito e il suo ammontare.
 
Questa, svolte le opportune verifiche, certificherà l’esistenza e l’ammontare del credito e tale certificazione, trasmessa al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, costituirà prova del credito nei confronti del Fondo e sarà inopponibile alla massa dei creditori concorsuali.
 
Il MIT, accertata la sussistenza delle condizioni per il pagamento dei crediti, provvederà all’erogazione delle risorse del fondo, surrogandosi nei diritti del subappaltatore, del sub-affidatario o del sub-fornitore verso l’appaltatore o l’affidatario del contraente generale e sarà preferito al sub-appaltatore, al sub-affidatario o al sub-fornitore nei riparti ai creditori effettuati nel corso della procedura concorsuale, fino all’integrale recupero della somma pagata.
 
La norma sancisce l’operatività del fondo con riferimento alle gare effettuate dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del DL Crescita, ossia a decorrere dal 30 giugno u.s..
 
Si rimanda  comunque ad un decreto del MIT, da adottare di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, l’individuazione dei criteri di assegnazione delle risorse e le modalità operative del fondo stesso, ivi compresa la possibilità di affidare l’istruttoria, anche sulla base di apposita convenzione, a società o enti in possesso dei necessari requisiti tecnici, organizzativi e di terzietà, scelti mediante gara (comma 1-quater).
 
Per i crediti insoddisfatti alla data di entrata in vigore della legge di conversione e relativi a procedure concorsuali aperte a far data dal 1° gennaio 2018, vengono stanziati appositamente, nel fondo medesimo, 12 milioni di euro per l’anno 2019 e 33,5 milioni di euro per l’anno 2020 (comma 1 quinquies).
 
Anche in tale caso, le procedure e le modalità per l’erogazione delle saranno fissate dal sopracitato decreto del MIT.
 
Al riguardo, l’auspicio dell’ANCE è che il decreto venga adottato nel minor tempo possibile e, soprattutto, che lo stesso preveda delle modalità operative del fondo che consentano il pagamento dei crediti in tempi celeri.
 
Le imprese della filiera “a valle” degli appaltatori o contraenti generali colpiti da procedure concorsuali  sono, infatti, in situazione di sofferenza da ormai molti anni e non possono permettersi un’ulteriore dilazione nei tempi di pagamento di quanto loro dovuto per i lavori già svolti.
 
Ad essere a rischio non v’è solo la prosecuzione dei lavori, ma la stessa sopravvivenza sul mercato delle imprese.
 
Al riguardo, si evidenzia altresì che, per espressa disposizione del provvedimento in commento, il fondo non si applica alle gare aggiudicate dai comuni, dalle città metropolitane, dalle province, anche autonome, e dalle regioni (comma 1-sexies).
 
Infine, si segnala che la legge di conversione interviene sull’art. 159 del Codice dei Contratti, in materia di appalti per la difesa e la sicurezza, precisando che, laddove si tratti di contratti ad impegno pluriennale superiore a tre anni, l’importo dell’anticipazione – che, ai sensi dell’art. 35 del Codice dei contratti, è pari al 20 per cento del valore del contratto di appalto - viene calcolato sul valore della prestazioni di ciascuna annualità contabile dei contratti di appalto e corrisposto entro 15 giorni dall’effettivo inizio della prima prestazione utile relativa a ciascuna annualità.

Si è svolta il 3 c.m. l’audizione informale dell’ANCE presso la Commissione Finanze della Camera dei Deputati sui contenuti della proposta di legge recante “Istituzione dell’imposta municipale sugli immobili (nuova IMU)”, (DDL 1429/C).
Il Dott. Marco Dettori, Vice Presidente Economico-fiscale-tributario, che ha guidato la delegazione associativa, ha evidenziato, in premessa, la condivisione dell’intento del provvedimento di semplificare ed unificare il prelievo locale immobiliare che, oggi, vede il sovrapporsi di 2 tributi patrimoniali di pressoché identico ambito soggettivo ed oggettivo: IMU e TASI.
Si tratta di un necessario processo di revisione dei tributi locali non più rinviabile, nell’ottica di conferire un assetto definitivo e stabile ad un settore della fiscalità interessato, nel corso degli ultimi anni, dal succedersi di numerose modifiche normative. La stratificazione degli interventi normativi negli anni ha infatti prodotto un indiscriminato aumento della pressione fiscale sugli immobili (dal 2011 al 2015 il gettito è passato da 9,3 a 24,5 miliardi di euro e, con il venir meno del blocco dell’aumento dei tributi locali, dal 2019, si potrebbe registrare un ulteriore aumento del livello di tassazione territoriale).
Tuttavia una vera e sostanziale riforma in questo ambito, la cui esigenza è avvertita ormai da tutti, cittadini, imprese e istituzioni stesse, non può esaurirsi nella mera unificazione delle due vigenti imposte immobiliari, ma deve tendere a razionalizzare il prelievo eliminando tutte le distorsioni attualmente esistenti.
 
Entrando nel merito, il Vicepresidente si è quindi soffermato sulle proposte ritenute prioritarie da ANCE. Al riguardo, nello specifico, ha evidenziato la necessità di intervenire sul tema delle “definizioni” dei vari immobili assoggettati al prelievo locale e, in particolar modo, sul concetto di “area edificabile”, tutt’oggi ancorato alla disposizione del DL 223/2006 (cd. “decreto Visco-Bersani”, convertito nella legge 248/2006), che considera tale il terreno già con la sola adozione dello strumento urbanistico generale, senza che sia necessario anche il piano attuativo.
In tal modo, pertanto, le aree vengono tassate con imposta massima (in quanto calcolata sul valore commerciale delle stesse) anche se, di fatto, ancora non concretamente utilizzabili a scopo edificatorio, in mancanza dei piani urbanistici attuativi dello strumento generale.
Per questo, occorre intervenire per eliminare questa distorsione, qualificando l’area come “fabbricabile” solo quando effettivamente, su di essa, si può procedere all’edificazione prevista dalla pianificazione urbanistica attuativa. Tra l’altro, l’attuale definizione genera un elevato contenzioso, che verrebbe invece risolto, adottando tale concetto di “area edificabile”.
 
Ulteriore urgenza riguarda il campo d’applicazione dell’imposta patrimoniale che, anche in base alle prescrizioni del PdL in analisi, continuerebbe a colpire i “beni merce” delle imprese edili, ossia le aree e i fabbricati destinati alla vendita.
Il provvedimento, infatti, conferma la misura della TASI attualmente prevista per gli immobili merce delle imprese edili, ossia per i fabbricati costruiti per la successiva vendita, a condizione che non siano locati (esenti, invece, da IMU con effetto dal 2013).
Tale disposizione, tra l’altro, non è coordinata con quanto recentemente previsto dal DL 34/2019 (cd. decreto crescita), convertito con modifiche nella legge 58/2019, che, all’art.7-bis, stabilisce l’esenzione da TASI di tali immobili a decorrere dal 2022.
La nuova imposta, inoltre, continuerebbe ad essere applicata anche sulle aree da edificare per la successiva vendita (oggi assoggettate sia ad IMU che a TASI) ed ai fabbricati in corso di costruzione o ristrutturazione, sempre per la successiva cessione a terzi (che attualmente scontano IMU e TASI sul valore dell’area sottostante, sino all’ultimazione dei lavori).
È pertanto evidente la necessità di riconoscere espressamente l’esclusione da ogni forma di patrimoniale per tutti gli immobili facenti parte del cd. “magazzino” delle imprese edili, ossia dei fabbricati di nuova costruzione o incisivamente ristrutturati per la successiva vendita e le aree edificabili.
Il settore edile è, infatti, l’unico a subire un prelievo di carattere patrimoniale sugli immobili oggetto dell’attività caratteristica e la riforma che s’intende attuare con il presente provvedimento è la sede più consona per eliminare questa enorme distorsione del sistema impositivo immobiliare.
Tra l’altro, il gettito IMU/TASI per le aree edificabili è del tutto risibile e genera un elevato contenzioso in merito alla definizione stessa di area e al valore imponibile.
 
In tema di manovrabilità dell’imposta da parte dei Comuni, ha, altresì, sottolineato l’opportunità di offrire agli Enti locali uno strumento efficace di marketing territoriale, quale può essere quello fiscale. In tal senso, al di là della condivisibile riduzione dell’imposta per le abitazioni affittate a canoni calmierati, che ha l’obiettivo di incentivare la locazione con valenza sociale, occorrerebbe fare uno sforzo ulteriore per favorire, in generale, il mercato residenziale delle seconde case. Ciò consisterebbe, agli Enti locali di disporre di uno strumento fiscale per attrarre capitali privati nel territorio e, a livello nazionale, di vivacizzare il mercato immobiliare residenziale ancora in sofferenza, con effetti benefici per l’Erario, il mercato, gli investitori ed i cittadini.
 
il Vicepresidenteha, quindi, rilevato la necessità di una correzione al provvedimento,per confermare, in futuro, quanto oggi previsto ai fini IMU e TASI, riguardante  le esenzioni previste per gli immobili utilizzati dagli Enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di determinate attività, tra cui quelle assistenziali, previdenziali, sanitarie e didattiche.
Nell’ambito della “nuova IMU”, infatti, per l’applicabilità del regime di esenzione, si fa rinvio al Codice del Terzo Settore (di cui al DLgs 117/2017) e, quindi, la stessa opera per gli immobili utilizzati nello svolgimento delle suddette attività da parte degli “Enti non commerciali del Terzo settore”. Tale rinvio, tuttavia, rischia di compromettere la spettanza del regime di esclusione dell’imposta patrimoniale per alcuni Enti non commerciali, quali le Casse edili e le Scuole edili, che, seppur utilizzando gli immobili posseduti direttamente nello svolgimento delle attività “tutelate”, non rientrano, in realtà, nel novero e nella disciplina degli Enti del Terzo settore.
Si tratta, infatti, di Enti non commerciali costituiti, in via paritetica, dalla parte datoriale e dalle rappresentanze sindacali del settore edile, che oggi godono dell’esenzione da IMU e TASI con riferimento agli immobili posseduti ed utilizzati direttamente nello svolgimento delle loro attività istituzionali (attività didattica, per le Scuole edili e attività assistenziale e previdenziale, per le Casse edili – cfr. anche Risoluzione del Dipartimento delle Finanze 5 ottobre 2015, n.8/DF).
Il venir meno dell’esenzione creerebbe un’evidente disparità di trattamento a danno di tali soggetti che subirebbero un incremento iniquo della tassazione sugli immobili posseduti, ancorché gli stessi siano direttamente utilizzati nello svolgimento delle attività istituzionali di istruzione, assistenza e previdenza che la norma agevolativa intende evidentemente tutelare.
Per questo, ai fini della suddetta esenzione, è opportuno confermare, anche nell’impianto normativo della nuova imposta municipale, il rinvio a quanto stabilito, ai fini della previgente ICI, dall’art.7, co.1, lett.i), del DLgs 504/1992, eliminando, o integrando, quindi, il riferimento agli Enti del Terzo settore.
 
Ulteriore principio che occorre porre al centro dell’impianto normativo della “nuova IMU” è quello connesso alla sua deducibilità dal reddito imponibile ai fini IRES ed IRPEF.
Sotto questo profilo, il provvedimento non è allineato alle recenti disposizioni contenute nel DL 34/2019, cd “decreto crescita”, convertito con modifiche nella legge 58/2019, che, dal 2019, incrementa progressivamente la percentuale di IMU, applicata sui fabbricati strumentali, deducibile dalle imposte sul reddito, per arrivare, a regime, alla completa deducibilità dell’imposta a decorrere dal 2023.
E’, pertanto, opportuno prevedere quantomeno l’integrale deducibilità anche della “nuova IMU” applicata sugli immobili strumentali delle imprese, in linea con le suddette disposizioni.
Sarebbe, poi, auspicabile un ulteriore passo in avanti che riconosca un principio di generale deducibilità dal reddito imponibile ai fini IRPEF ed IRES della nuova imposta patrimoniale per tutti gli immobili delle imprese, così come oggi previsto per la TASI.
 
Il Vice presidente ha infine evidenziato, per quanto riguarda, infine, la “clausola di salvaguardia”, che se, da un lato appare essenziale garantire che la “nuova IMU” non comporti un aggravio impositivo per i contribuenti, dall’altro è parimenti essenziale utilizzare, anche a livello locale, la leva fiscale per incentivare determinate iniziative d’interesse pubblico e ciò attraverso un serio riordino del prelievo immobiliare locale che non può non chiamare in causa anche la riforma della base imponibile e, quindi, del catasto.
Si tratta di un tema già affrontato nel 2014, con l’emanazione della legge delega n.23/2014, con la quale si voleva, appunto, rendere più conformi alla realtà i valori catastali dei fabbricati, anche ai fini dell’imposizione fiscale immobiliare.
Il processo, così come pensato all’epoca, ha poi subito un drastico arresto nel giugno 2015, a fronte della presa d’atto da parte dell’allora Governo della mancanza delle necessarie garanzie di invarianza di gettito per i contribuenti e del rischio che, con la riforma, il prelievo sugli immobili potesse subire ulteriori pesanti incrementi.
In particolare, la necessità è quella di adeguare il Catasto alle mutate esigenze ambientali di efficienza energetica e di sicurezza sismica, così da premiare gli immobili più in linea con i moderni standard energetici e antisismici.
Su questo punto, ha illustrato la proposta ideata da ANCE per premiare “catastalmente”, e quindi anche fiscalmente, la produzione, l’acquisto e il possesso di immobili ad alta efficienza energetica.
In particolare, si tratta dell’introduzione di un coefficiente che, tenendo conto della prestazione energetica dell’immobile, agisca in senso inversamente proporzionale sulla rendita e sul valore catastale imponibile, proprio alla luce del minor impatto ambientale (e sociale) del fabbricato.
In tal modo, anche la fiscalità locale potrebbe rappresentare una leva efficace per incentivare i cd. “mercati emergenti”, connessi al perseguimento dell’interesse pubblico della tutela ambientale e della riqualificazione urbana in chiave energetica ed antisismica, con ricadute positive sull’intera collettività, sul benessere sociale e sulle stesse entrate sia erariali che degli Enti locali.
Da uno studio ANCE sull’incidenza fiscale su alcuni progetti effettivi di trasformazione e riqualificazione immobiliare, è risultato che, dall’implementazione dei piani di rigenerazione urbana, lo Stato e gli Enti locali “guadagnano” complessivamente (in termini di IRES, IRPEF, IVA, IRAP, IMU/TASI) quasi il 60% dell’utile ritraibile dall’investimento (a fronte del 40% lasciato all’impresa che realizza il programma).
In tal senso, l’Erario e gli Enti locali assumono, di fatto, il ruolo di soci di maggioranza nelle iniziative di riqualificazione urbana.

In tema di vizi dell’opera, la Corte di Cassazione ha affermato che il direttore dei lavori non ha un obbligo continuo di vigilanza sulle attività di semplice esecuzione realizzate dall'appaltatore.

Nel caso di specie i ricorrenti chiedevano il risarcimento dei danni nei confronti della ditta appaltatrice e del direttore lavori con riferimento a vizi nell’edificazione di una villa bifamiliare, consistenti nell'inidonea impermeabilizzazione di una guaina.
Era stato accertato - in primo e secondo grado - che si trattava di negligenza nell’apposizione di una guaina impermeabilizzante, un’attività di semplice esecuzione e senza alcuna difficoltà particolare, non bisognevole di alcuna direttiva specifica, rientrante dunque nella fattispecie di opera esecutiva non complessa e oggetto di competenze e capacità di modesti operai edili.

La Corte di Cassazione, con l'Ord. C. Cass. civ. 29/05/2019, n. 14751, ha specificato che il direttore dei lavori è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche e deve impiegare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione e nel perimetro delle sue competenze, il risultato che il committente si aspetta di conseguire.
Da questo, tuttavia, non deriva a suo carico né una responsabilità per cattiva esecuzione dei lavori riferibile all'appaltatore, né un obbligo continuo di vigilanza anche in relazione ad attività di semplice esecuzione.
Sicché, in assenza di un qualche indice che faccia supporre che l'appaltatore sia stato sottoposto dal committente a direttive così stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione, l'appaltatore rimane esclusivo responsabile dell'esecuzione delle opere previste ovvero dei danni conseguenti a negligenza nell'attuazione.

 

 

Fonte: Bollettino di Legislazione Tecnica online
www.legislazionetecnica.it

“Occorre, subito, una proroga per la ricostruzione “leggera”, dato che il termine di scadenza al 31 dicembre 2018, per la richiesta di contributo di ricostruzione per gli edifici danneggiati dal sisma e classificati con danni lievi, “esito B”, già previsto dalla L. n. 205 del 27 Dicembre 2017 art. 1 co. 1120, lett. “a”, è stato prorogato alla data del 30 Giugno 2019 con D.L. n. 61 del 25 luglio 2018, art. n. 1, co. 2 bis”. Lo afferma il presidente dell’Ordine degli Architetti PPC della provincia di Teramo, Raffaele Di Marcello.

“Tale termine è stato indicato come perentorio e, quindi, c’è il rischio che non ci siano proroghe – avverte Di Marcello – ma sono pochissime le pratiche presentate, anche a causa di incertezze normative e, quindi, è necessario portare la scadenza almeno al 31 dicembre prossimo”.

Ma il presidente dell’Ordine lancia un altro appello: “Leggiamo di soggetti che, probabilmente in buona fede, affermano di avere la soluzione per la velocizzazione delle procedure e di altri che continuano ad addossare presunte colpe ai tecnici, che non presenterebbero pratiche corrette o non presenterebbero le integrazioni richieste. Credo che, in questo momento, non ci sia bisogno di estemporanee prese di posizione o ricette improbabili, che dimostrano, tra l’altro, di ignorare il lungo e continuo lavoro che le istituzioni, Ordini e Collegi professionali in primis, hanno svolto e stanno svolgendo a tutti i livelli, partecipando a tavoli di lavoro nazionali, regionali e locali; organizzando, insieme ad ANCE, momenti formativi per i tecnici; avanzando proposte normative ed operative.”

“Siamo vicini – continua l’Arch. Di Marcello – ai sindaci del cratere e a tutte le istituzioni, e continueremo a supportarle, pur nella schiettezza dei rapporti che, ad oggi, ha contraddistinto gli enti ordinistici. Solo uniti si riusciranno a superare le criticità che, da quasi tre anni, caratterizzano la ricostruzione e che, purtroppo, ancora permangono. Invitiamo, quindi, chiunque voglia collaborare a riportare la propria azione nell’ambito istituzionale, evitando spettacolarizzazioni utili solo a dare brevi momenti di notorietà a singoli soggetti.”

“Chiediamo, inoltre, a sindaci, al presidente della Provincia e al Governatore della Regione Abruzzo – conclude il Presidente degli Architetti – pur mantenendo alta l’attenzione sulla ricostruzione, di andare oltre la fase emergenziale portando avanti azioni strutturali per la rinascita dei territori dei crateri sismici 2009/2016, puntando al coordinamento delle attività post sisma e della pianificazione ordinaria. Occorre una strategia non solo per la ricostruzione ma per riportare vita e attività in Abruzzo e, in particolare, in tutti i Comuni della provincia di Teramo. I tecnici sono, come sempre, a disposizione, sia nell’emergenza che nella quotidianità; stà alla politica utilizzare, o meno, le nostre competenze.”

Il Consiglio di Stato, con la pronuncia del 23/05/2019, n. 3367, fa il punto su tutte le questioni applicative concernenti la distanza minima tra pareti finestrate prevista dal D.M. 1444/1968.


In proposito si ricorda che l’art. 9 del D. Min. LL.PP. 02/04/1968, n. 1444, nell’ottica di tutelare imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, prescrive le distanze da osservare nelle ipotesi di ristrutturazione e costruzione di nuovi edifici, prevedendo altresì una specifica disciplina per gli stabili ricadenti nei centri o agglomerati storici.
In particolare, l’art. 9 del D. Min. LL.PP. 1444/1968, al punto 2), prescrive per le nuove costruzioni ricadenti in zone diverse dalla zona territoriale omogenea A (quindi in zona diversa dal centro storico) l’obbligo di osservare una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate ed edifici antistanti.
C. Stato 23/05/2019, n. 3367 ha affrontato diverse questioni applicative della norma sopra descritta,
SCOPO DELLA NORMA E SUA APPLICAZIONE INDEROGABILE - La norma è volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e di conseguenza va applicata in via inderogabile, non essendo neanche concesso al giudice di valutare un eventuale equo contemperamento degli opposti interessi delle parti.
COME CALCOLARE LE DISTANZE - La distanza di 10 metri va calcolata:
- con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano;
- con riferimento a tutte le pareti finestrate e non soltanto a quella principale;
- prescindendo dal fatto che le pareti frontistanti siano o meno in posizione parallela;
- indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia preesistente o di un nuovo edificio da realizzarsi;
- indipendentemente dalla circostanza che le pareti si trovino alla medesima o a diversa altezza l'un l'altra.
RAPPORTO CON I REGOLAMENTI COMUNALI - La norma in discussione prevale sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze, sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei Comuni, in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata, sia infine sull’autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che non sono nella disponibilità delle parti.
NOZIONE DI "NUOVA COSTRUZIONE" - per nuova costruzione si deve intendere non solo la realizzazione di un fabbricato completamente nuovo, ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l'aumento della sagoma d’ingombro. Anche la sopraelevazione deve essere considerata come nuova costruzione.

 

Fonte: Bollettino di Legislazione Tecnica online
www.legislazionetecnica.it

“Basta con i provvedimenti legislativi “omnibus” che, inseguendo illusori processi di semplificazione esasperata, rischiano di compromettere la visione globale di norme quadro di settore, come il Codice dei contratti o il Testo unico sull’edilizia”

Così il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori sul decreto Sblocca Cantieri appena convertito in legge dalle Camere.

“Non condividiamo il rilancio dell’appalto integrato - afferma Rino La Mendola - Vicepresidente del Consiglio Nazionale e Coordinatore del Tavolo Lavori Pubblici della Rete delle Professioni Tecniche, in quanto è una procedura che, inseguendo un illusorio processo di semplificazione, relega il progetto ad un ruolo marginale nel processo di esecuzione delle opere pubbliche, alimentando varianti in corso d’opera, contenziosi e nuove opere incompiute sul territorio, finendo così per tracciare percorsi diametralmente opposti al principio di semplificazione a cui si ispira. La volontà del Governo e del Parlamento di sottovalutare l’importanza della centralità del progetto si legge anche da altri dispositivi introdotti dalla legge, come quello che consente l’affidamento dei lavori di manutenzione sulla base di un progetto definitivo. Per questo tipo di lavori, saremmo stati favorevoli ad un alleggerimento della progettazione esecutiva, ma non possiamo di certo condividere il totale taglio di una fase progettuale che contiene elaborati e documenti indispensabili per l’appalto dei lavori”.

Pur non condividendo l’impostazione globale del provvedimento legislativo, gli architetti italiani hanno apprezzato alcune novità, rispetto al testo iniziale del decreto, introdotte dalla legge di conversione, parte delle quali sono state adottate recependo alcuni degli emendamenti proposti dalla Rete delle Professioni Tecniche.

“Riteniamo positiva la reintroduzione della soglia del 30% del punteggio da attribuire all’offerta economica negli affidamenti con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; ciò garantisce un maggiore peso all’offerta qualitativa rispetto a quella economica negli affidamenti di servizi di architettura e ingegneria. Positiva l’introduzione, sebbene temporanea, della facoltà delle stazioni appaltanti di acquisire il finanziamento delle risorse, limitatamente a quelle da utilizzare per la progettazione. Ciò di fatto consentirà di fornirsi di un parco progetti, strumento indispensabile per fruire nel migliore dei modi dei flussi finanziari europei, anche se bisognerebbe contestualmente costituire una cabina di regia per indirizzare le amministrazioni ad investire su progettazioni in linea con la programmazione dei fondi comunitari per evitare lo spreco di risorse in opere difficilmente finanziabili.

“Concordiamo anche con l’idea di puntare ad un unico regolamento a supporto del Codice dei contratti, anche se abbiamo quasi sempre condiviso i contenuti delle linee guida emanate dall’ANAC, spesso votate non solo alla trasparenza, ma anche ad una maggiore concorrenza ed alla ricerca della qualità delle prestazioni professionali”.  

Gli architetti italiani, inoltre, preso atto di uno “stop” alle modifiche introdotte all’art.113 dal testo originario del Decreto, in merito agli incentivi per la progettazione interna alla Pubblica amministrazione, auspicano che ciò segni un primo passo per riformulare l’art. 24 del Codice dei contratti, in modo da attribuire prioritariamente la progettazione ai liberi professionisti e valorizzare contestualmente i pubblici dipendenti nel controllo dell’intero processo di esecuzione delle opere pubbliche, dalla programmazione al collaudo dei lavori, assegnando loro gli incentivi per tali attività, a prescindere dal ruolo di dirigente o di funzionario.

“Adesso, conclude La Mendola, serve una riforma organica del Codice dei contratti, votata ad una maggiore apertura del mercato dei lavori pubblici alle strutture professionali medio-piccole e, soprattutto, al rilancio della centralità del progetto nei processi di trasformazione del territorio, attraverso la valorizzazione del concorso di progettazione a due gradi, che riteniamo il migliore strumento per promuovere la qualità architettonica nelle nostre città del futuro.”

 

fonte: www.awn.it