Sconfinamento del cappotto termico, il caso di Via Monte Grappa a San Donato Milanese e l'ordinanza della Cassazione

Sconfinamento del cappotto termico, il caso di Via Monte Grappa a San Donato Milanese e l'ordinanza della Cassazione

La Cassazione ha esaminato il caso di contenzioso nato tra i proprietari di un terrazzo e il condominio adiacente, in Via Monte Grappa 11 a San Donato Milanese, a causa di lavori per la realizzazione di un cappotto termico sull'edificio condominiale. I suddetti proprietari del terrazzo hanno dunque accusato il condominio di aver sconfinato, per uno spessore di 10 centimetri, nella loro proprietà con la realizzazione dell'opera. Il rappresentante del condominio invece, si difende affermando che l'opera realizzata si trova ad un metro di altezza dal piano del calpestio del terrazzo, lasciandolo quindi libero.
Il tribunale di Milano, con sentenza del 19 marzo 2017, respinse l'accusa verso il condominio, mentre la Corte d'appello di Milano ha parzialmente condannato questi, imponendogli la rimozione del cappotto termico.

A tale proposito si è dunque espressa la Corte di cassazione, affermando che in base a quanto prescritto dal Codice Civile “il proprietario non può opporsi, ai sensi dell'art. 840, comma 2, c.c., ad attività di terzi (quale, ad esempio, l'immissione di sporti) che si svolgano a profondità od altezza tali che egli non abbia interesse ad escluderle e, pertanto, ove ritenga di contestarle, è suo onere dimostrare che dette attività gli arrechino un pregiudizio economicamente apprezzabile, da intendere non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo alle caratteristiche ed alla normale destinazione, eventualmente anche futura, del fondo, ovvero alla possibile utilizzazione di tale spazio a scopo di sopraelevazione”.
Non avendo quindi i proprietari del terrazzo prove tangibili per dimostrate la presenza di un eventuale danno, anche futuro, causato dall'intervento, i lavori di realizzazione del cappotto termico sono da considerarsi regolari.
Secondo la Cassazione, alla luce di quanto prescritto nel Codice, la Corte d'appello di Milano ha dunque errato nel condannare il condominio senza valutare se, e in che misura, sussista un concreto interesse del proprietario del terrazzo ad opporsi a tale opera. La corte quindi afferma che il ricorsa va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano, la quale procederà a nuovo esame della causa.

 

A cura di Ing. Alessia Salomone - Edilsocialnetwork

Cassazione, sentenza 6321/2020. Il direttore dei lavori non è responsabile per i difetti dell'opera derivanti da vizi progettuali e infortuni

Cassazione, sentenza 6321/2020. Il direttore dei lavori non è responsabile per i difetti dell'opera derivanti da vizi progettuali e infortuni

Tale sentenza nasce da un avvenuto infortunio mortale durante i lavori di manutenzione di un condominio di Perugia nel 2018. I congiunti del defunto chiesero la condanna al direttore dei lavori e il risarcimento dei danni subito dagli attori in conseguenza al decesso. In tale occasione il giudice di primo grado e la Corte d'Appello di Perugia rigettarono la domanda in quanto non si poteva ritenere il direttore dei lavori responsabile del decesso in quanto questi non aveva mai assunto alcun impegno di controllo delle attività di cantiere e di responsabile della sicurezza dei lavori.

La Cassazione ha dunque confermato le conclusioni raggiunte dal Tribunale territoriale e dalla Corte d'Appello, dichiarando il direttore dei lavori assolto da ogni responsabilità risarcitoria nei confronti dei congiunti del lavoratore deceduto. Il direttore dei lavori ha difatti l'obbligo di vigilare affinché i lavori siano eseguiti in maniera conforme al progetto, al capitola e alla normativa vigente. Questi può essere ritenuto responsabile degli infortuni e dei difetti d'opera derivanti da vizi professionali solo se regolarmente incaricato dal committente, oppure nel caso in cui con il suo operato eserciti ingerenza nello svolgimento dei lavori eseguiti dalla ditta appaltatrice.

 

a cura di Ing. Alessia Salomone

Opere strutturali in cemento armato: chiarimenti della Corte di Cassazione

Opere strutturali in cemento armato: chiarimenti della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione fornisce chiarimenti in merito all’applicazione della normativa relativa alle opere di conglomerato cementizio armato, normale, precompresso ed a struttura metallica.

FATTISPECIE
Nel caso di specie il ricorrente era stato condannato, tra l’altro, per il mancato adempimento degli obblighi di cui agli artt. artt. 64, 65, 71 e 72, D.P.R. 380/2001 relativamente alla costruzione di sei colonne all’interno di due vani di un immobile oggetto di ristrutturazione. Il ricorrente contestava la funzione strutturale di tali opere in cemento armato e sosteneva la conseguente inapplicabilità della suddetta normativa.

NORME DI RIFERIMENTO
A norma dell’art. 64, comma 1, D.P.R. 380/2001 la realizzazione delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica deve avvenire in modo tale da assicurare la perfetta stabilità e sicurezza delle strutture e da evitare qualsiasi pericolo per la pubblica incolumità e, secondo l'art. 53 del medesimo D.P.R. 380/2001, sono considerate opere di conglomerato cementizio armato, normale o precompresso, quelle, composte da un complesso di strutture, che assolvono ad una funzione statica dell’edificio.

PRINCIPIO DI DIRITTO
La Corte di Cassazione, con la sentenza C. Cass. pen. 23/01/2020, n. 2682, ha interpretato il combinato disposto di tali norme affermando che sono escluse dall'applicazione della normativa relativa alle opere di conglomerato cementizio armato, normale, precompresso ed a struttura metallica, previste dagli artt. 53 e 64 D.P.R. 06/06/2001, n. 380, le sole opere costituite da un'unica struttura, le membrature singole e gli elementi costruttivi che hanno una funzione di limitata importanza nel contesto statico del manufatto, mentre devono ricomprendersi quelle opere che, per loro natura, assolvono ad una funzione strutturale (come nel caso di specie le sei colonne in cemento armato).

Enunciando tale principio la Corte ha peraltro ribadito quanto già specificato in passato con le sentenze C. Cass. pen. 24/06/2010, n. 24237 e C. Cass. pen. 17/02/2012, n. 6588; sulla base della Circ. Min. LL.PP. 14/02/1974, n. 11951 secondo la quale si considerano opere in conglomerato cementizio armato normale quelle costituite da elementi resistenti interconnessi, compresi quelli di fondazione, che mutuamente concorrono ad assicurare la stabilità globale dell'organismo portante della costruzione, e che quindi costituiscono un complesso di strutture, ossia un insieme di membrature comunque collegate tra loro ed esplicanti una determinata funzione statica. Sono quindi escluse, oltre alle membrature singole, anche gli elementi costruttivi in cemento armato che assolvono una funzione di limitata importanza nel contesto statico dell'opera.

 

Fonte: Bolletino Online di Legislazione Tecnica
www.legislazionetecnica.it

Conseguenze della mancata consegna del certificato di agibilità

Conseguenze della mancata consegna del certificato di agibilità

La Corte di Cassazione ribadisce alcuni principi fondamentali applicabili nel caso di assenza del certificato di agibilità (ora sostituito dalla Segnalazione certificata di agibilità) al momento della stipula del contratto definitivo di compravendita.

Nel caso di specie la promittente venditrice di un immobile impugnava la sentenza della Corte d’Appello che aveva risolto, per inadempimento della stessa, il contratto preliminare di compravendita di un appartamento risultato privo di certificato di abitabilità. La ricorrente adduceva che i promissari acquirenti non avevano chiesto l'esibizione di tale certificato nè al momento della stipula del preliminare, nè successivamente, ma solo in prossimità della data fissata per il rogito. Con tale comportamento la ricorrente sosteneva di essere stata esonerata dalla consegna del certificato e che la richiesta avanzata pochi giorni prima della data del contratto definitivo doveva considerarsi contraria a buona fede.

Al riguardo la Corte di Cassazione (Ord. C. Cass. civ. 04/03/2020, n. 5972) ha chiarito che:

- nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poichè vale a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità; con la conseguenza che il mancato rilascio della licenza di abitabilità integra un inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, a meno che il compratore non abbia espressamente rinunciato al requisito dell'abitabilità o esonerato comunque il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza (cfr. C. Cass. civ. 18/09/2019, n. 23265);

- in tema di compravendita immobiliare, la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determina, in via automatica, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l'importanza e la gravità dell'omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene (cfr. C. Cass. civ. 05/12/2017, n. 29090).

In applicazione di tali principi, poiché dalla sentenza impugnata non emergeva il presupposto di fatto relativo all’esonero dalla consegna del certificato di agibilità, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso confermando la decisione della Corte d’Appello che:
1) aveva ritenuto la promittente venditrice tenuta a produrre il certificato di agibilità entro il termine fissato per il rogito;
2) aveva ricondotto la gravità dell’inadempimento al fatto che, omettendo di richiedere ed ottenere il certificato in corso di causa, la stessa non aveva dimostrato che l'immobile fosse concretamente agibile.

 

Fonte: Bollettino Online di Legislazione Tecnica
www.legislazionetecnica.it